mercoledì 22 febbraio 2017
Il pm Di Palma: l’inefficienza è complice. Relazioni con economia legale e istituzioni
Il pm reggino Roberto Di Palma

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«Per fiaccare la ‘ndrangheta non bastano solo repressione, indagini e denunce. Serve anche un efficiente giustizia civile». Il pm Roberto Di Palma sa quello che dice. Dalla trincea avanzata della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ogni giorno investiga, interroga, firma operazioni repressive.

Che c’entra la giustizia civile, le quisquiglie bagatellari, con la lotta alla criminalità?
Un esempio: se il proprietario di un immobile vuole sfrattare un inquilino moroso, ha due strade: rivolgersi allo Stato oppure all’antistato. La legge gli indicherà le giuste procedure da seguire, ma poi si va a rilento, i tempi si allungano e ci possono volere anni per rientrare nel possesso dell’appartamento. Se invece quel proprietario si rivolge alla ‘ndrangheta, la questione si risolve in tre giorni. Ed è anche così che i clan conquistano consenso nel territorio. Ma è solo un esempio tra i molti. Magari i boss non ci guadagnano una lira ad occuparsi di faccende del genere, ma ottengono la riconoscenza, e questo non ha prezzo. Chiaramente, rivolgersi alla ’ndrangheta significa firmare una cambiale in bianco il cui prezzo, modi e tempi di esigibilità non si conoscono.

Come riesce la ‘ndrangheta a restare ancorata alla sua 'tradizione' pur adattandosi alle dinamiche criminali di altri Paesi?
Bisogna distinguere la ‘ndrangheta di facciata, da quella che pervade gli ambienti della cosiddetta zona grigia, da distinguersi ancora rispetto alla criminalità che agisce e spadroneggia sul territorio. Sono tutti volti dello stesso fenomeno. Se per un verso persistono rituali di affiliazione, per l’altro i boss sanno affidarsi al volto presentabile di professionisti, politici, e anche alla massoneria. Un modello operativo che viene replicato anche all’estero, permettendo di agganciare im- prenditori e figure istituzionali.

«Avvenire» ha rivelato i contatti tra emissari del clan Piromalli e funzionari del Fbi. I boss calabresi avrebbero ottenuto il via libera all’esportanzione di agroalimentare negli Usa. In cambio avrebbero messo a disposizione i propri buoni uffici per far arrivare forniture di armi Usa in Medio Oriente. È la riprova dell’alto livello di infiltrazione raggiunto?
In nessun modo posso rispondere riguardo ad inchieste ancora in corso. Posso però confermare che ovunque arrivi la ‘ndrangheta cerca di costruire reti di relazioni ad ogni livello. Più volte ci siamo recati all’estero per indagini, ovunque abbiamo riscontrato il tentativo dei boss di stabilire canali con l’economia legale e le istituzioni, spesso usando il volto presentabile di quegli insospettabili che sono necessari ad avvicinare mondi così lontani.

Torniamo all’Italia. In che modo le ’ndrine interagiscono con le altre mafie?
In alcuni procedimenti abbiamo ricostruito il caso della famiglia Piromalli che era riuscita ad avvicinare un esponente politico milanese, offrendogli garanzie sulla capacità del clan di fargli ottenere voti in Calabria e in Sicilia, attraverso Cosa nostra. L’alleanza criminale non solo esiste, ma è forte, e vede i calabresi in una posizione avanzata.

Ma qual è il vero punto di forza della ‘ndrangheta?
È difficile da sintetizzare, ma a livello universale la ’ndrangheta è riconosciuta dalle altre consorterie criminali per la sua affidabilità. Nei rapporti con i narcos sudamericani non servono più accordi scritti, garanzie bancarie o altre forme di “rassicurazione” sulle 'forniture' da pagare ai cartelli del narcotraffico. Basta dare la parola, e questo mostra ancora una volta quale sia la “credibilità” che i clan calabresi si siano guadagnati su scala mondiale.

In questi anni non vi sono mancate minacce e intimidazioni. Come giudica la reazione della società civile? Vi sentite soli?
Noi non possiamo chiedere ai cittadini di essere eroi. Prima di tutto occorre che lo Stato, ad ogni livello, sia efficiente. In una condizione ambientale di forte crisi economica, con le istituzioni che funzionano a singhiozzo, non possiamo attenderci chissà quale rivoluzione. Un sondaggio condotto recentemente con garanzia di anonimato, ha permesso di sapere che il 90% degli imprenditori calabresi sa cosa sia e come agisce la ‘ndrangheta, ma solo il 5% afferma di averci avuto a che fare. Questo dato, da solo, spiega che la strada è ancora lunga.

E il ruolo della Chiesa?
Anche in questo caso, non penso che i parroci debbano essere eroi antimafia. Ma guide vere, fornendo validi modelli di vita, specie per i giovani. Ed è questo lavoro difficile, ma sincero, che alla lunga darà i suoi frutti.

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