sabato 29 settembre 2018
Il Presidente: «Pensare ai giovani e al futuro». Il leader leghista: «Stia tranquillo, si cambia rotta»
Allarme sui conti pubblici, duello Mattarella-Salvini
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Un richiamo chiaro al rispetto dell’equilibrio di bilancio. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – all’indomani dell’approvazione della Nota di aggiornamento al Def da parte del governo gialloverde – ha deciso di parlare chiaro. «La Costituzione italiana all’articolo 97 dispone che occorre assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico. Questo per tutelare i risparmi dei nostri concittadini, le risorse per le famiglie e per le imprese, per difendere le pensioni, per rendere possibili interventi sociali concreti ed efficaci», ha detto il capo dello Stato, che ieri ha ricevuto al Quirinale i partecipanti all’iniziativa Sulle ali della libertà. Viaggio in bicicletta intorno ai 70 anni della Costituzione italiana. La prima occasione utile per ricordare l’importanza di avere un quadro di finanza pubblica che non gravi sulle generazioni future: «Avere conti pubblici solidi e in ordine è una condizione indispensabile di sicurezza sociale, soprattutto per i giovani e per il loro futuro». Il testo della Carta «rappresenta la base e la garanzia della nostra libertà, della nostra democrazia. Detta le regole della nostra convivenza e indica i criteri per i comportamenti e le decisioni importanti, come quelle da assumere in questi giorni», ha ribadito Mattarella.

Alle parole del capo dello Stato, prima presa di posizione cui probabilmente ne seguiranno altre, ha replicato il ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Stia tranquillo il presidente, dopo anni di manovre economiche imposte dall’Europa che hanno fatto esplodere il debito pubblico finalmente si cambia rotta e si scommette sul futuro e sulla crescita». Il vicepremier ha aggiunto, prendendosi lui il compito di fare la faccia feroce: «È una manovra che investe su coloro che soldi non ne hanno: pensionati, giovani disoccupati. Se a Bruxelles mi dicono che non lo posso fare me ne frego e lo faccio lo stesso».

I temi sono due, infatti, interconnessi. Il quadro finanziario e il rischio di una rottura con l’Ue, o di un lento scivolamento fuori dall’euro, massima preoccupazione del Colle sin dai giorni precedenti alla nascita dell’esecutivo. Preoccupa, in particolare, il rinnovato attivismo del ministro agli Affari europei Paolo Savona, che proprio il Quirinale chiese di non mettere al Tesoro. È filtrata in questi giorni una dichiarazione di Savona - non confermata né smentita - per cui il deficit al 2,4 è «il guanto di sfida» con cui inizia una «vera guerra» con l’Europa. Ieri lo stesso Savona, intervistato da Rai Parlamento, ha usato toni più morbidi: «Alla Ue non chiedo flessibilità ma una vera svolta politica, la distinzione tra spese correnti e spese d’investimento». Insieme alla constatazione per cui «il debito italiano è sottoscritto a condizioni più onerose degli altri anche se non ci sono problemi di insolvenza».

Affermazioni che hanno costretto il vicepremier M5s Luigi Di Maio a fare il pompiere: sullo spread «sono tranquillo» e «l’Italia non vuole di certo uscire dall’Europa e dall’euro», aveva risposto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico a SkyTg24. «Non vogliamo far saltare i conti», rassicura. Il deficit al 2,4% «non è una sfida all’Unione Europea, non abbiamo fatto nulla di diverso da Francia e Spagna». Il 2,4% è solo «il numero magico per rilanciare il Paese per soddisfare l’esigenza di chi non ha un lavoro e di chi non può andare in pensione». L’effetto della manovra italiana sui mercati «è dovuto alla demonizzazione che si sta facendo di questo governo. La manovra del popolo non deve preoccupare i mercati e non credo che li preoccuperà». Le banche hanno reagito male «perché in questi mesi si era scommesso nel fatto che il governo mettesse il deficit così basso da favorire solo loro». Ancora poi un riferimento alle tensioni con il ministro dell’Economia: se Mattarella abbia chiesto a Tria di rimanere «io questo non lo so. Noi pure difendiamo Tria, deve restare al Mef. Si è descritta una situazione che non è vera».

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