lunedì 1 luglio 2019
Il capo dello Stato sostiene apertamente l’operazione "salva conti": crediamo che la procedura d’infrazione non abbia ragione di essere aperta
Decreto anti-deficit. Lo scudo di Mattarella
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All’atteso varo dell’assestamento di bilancio il governo affianca, a sorpresa, un decreto "salvaconti" che immobilizza 1,5 miliardi, i futuri risparmi di Reddito di cittadinanza e quota 100. Una mossa che svela il succo del negoziato in corso con l’Unione europea per evitare la procedura d’infrazione: a Bruxelles non bastava un impegno politico, ma serviva un atto di legge. Un passaggio non indolore, per l’esecutivo. Al Consiglio dei ministri l’assenza del vicepremier Di Maio ha provocato l’arrabbiatura e l’abbandono della riunione da parte dell’altro vicepremier Salvini, producendo una scena ad alto impatto politico: a mettere la "faccia" sul provvedimento sono il premier Conte e il ministro del Tesoro Tria, non i due leader politici di M5s e Lega.

La strategia del presidente del Consiglio è però blindata dal capo dello Stato Mattarella, che da Vienna, in visita istituzionale in Austria, sostiene apertamente l’operazione "salva conti": «Crediamo che la procedura d’infrazione non abbia ragione di essere aperta», dice il Colle. Un piano a 360 gradi quindi, che ricostituisce il tradizionale quadrilatero tra Palazzo Chigi, Quirinale, Bankitalia e Bce. I segnali che giungono da Bruxelles sono positivi: la plenaria dei commissari è stata spostata a mercoledì. «Siamo in linea con il Patto di stabilità – commenta il Mef a fine giornata –, non c’è motivo di aprire una procedura». Lo spread chiude sotto i 230.

Se la linea Conte-Tria avrà effetti sulla già zoppicante alleanza gialloverde, si vedrà. Il pretesto di giornata per il litigio tra i vicepremier è stata l’assenza di Di Maio al Cdm. Salvini, infuriato, ha lasciato la riunione. Il leader M5s si è affrettato a dire che la sua assenza era stata comunicata. Ma il segretario del Carroccio non ci sta, e se la prende soprattutto perché a pochi minuti dal Cdm lo stesso Di Maio si è prodotto in un video sui social in cui torna all’attacco su Alitalia e Autostrate («Il partito di Benetton non mi fa paura, il silenzio della Lega li fa sentire più protetti») e prova a scalfire la linea di Salvini sulle ong («Non si può parlare per giorni di 40 migranti quando ogni giorno entrano persone sulle nostre coste»). Il capo della Lega si infuria e se ne va dal Cdm. Ma la doppia assenza non cambia la sostanza del pomeriggio di governo: il ddl assestamento, il ddl Rendiconto e il decreto "salva conti" passano, con tanto di Relazione al Parlamento che chiede la modifica dei saldi. Dopo la sfuriata, Salvini prova a ricucire («Nessuna polemica, ma su Autostrade, Ilva e Alitalia non ci devono andare di mezzo i lavoratori») ma poi avverte in vista della manovra 2020: «Su Europa e infrazione – dice – la Lega non accetta nessuna ipotesi di taglia alla sanità, alla scuola o agli aiuti a famiglie e imprese».

La fotografia sembra essere la seguente: Conte e Tria alzano la coppa dell’intesa, Di Maio sorride a metà perché scansa la procedura d’infrazione ma non ha ancora allontanato l’ipotesi del voto anticipato, Salvini medita sui passi futuri. La decisione che deve prendere, ormai nel giro di 20 giorni, è se aprire una crisi sulla Flat tax o invece accettare di scrivere la manovra 2020 nel sentiero stretto disegnato da Conte e Tria. «Il nostro obiettivo rimane quello di abbassare le tasse e aumentare gli investimenti», dice Salvini con un filo di convinzione in meno rispetto ai giorni scorsi.

In concreto, nell’assestamento Tria introduce 6,2 miliardi di maggiori entrate, delle quali 2,9 di entrate tributarie, 600 di entrate contributive e 2,7 di altri incassi (i dividenti Bankitalia e Cdp, tra gli altri). Rispetto alle previsioni, il Mef registra anche un miliardo di minori spese, e fanno 7,2 miliardi. Il ddl però autorizza anche una maggiore spesa di 1,1 miliardi (tra i quali 500 milioni al Fondo coesione, 100 al Bonus 18enni, 50 all’Agenzia delle entrate, 300 al Trasporto pubblico locale, 204 "spartiti" tra Fondo sociale, università e diritto allo studio). Fatti i conti, sono 6,1 miliardi di riduzione dell’indebitamento. Siccome all’Europa non basta, ecco il decreto da 1,5 miliardi di spese congelate, che portano a 7,6 miliardi il bottino che consente di tenere il deficit al 2,04%, come promesso da Conte a Juncker durante il negoziato di dicembre. Chiaro che Di Maio e Salvini non possono fare salti di gioia. Perché questi 8 miliardi non potranno servire ad operazioni fiscali per il 2020.

Nel complesso, precisa il Mef, il 2019 si chiuderà con un saldo tra entrate e uscite negativo per quasi 20 miliardi, a causa di entrate per 591 miliardi e uscite per 611. L’avanzo primario - prosegue il Tesoro - è di oltre 49 miliardi. In totale, le entrate diminuiscono di circa 1 miliardo per effetto della riduzione di 6,7 miliardi delle entrate tributarie, non compensata dall’aumento di 5,7 miliardi delle altre entrate. Le spese si riducono di circa 2,9 miliardi di competenza e 4,4 miliardi di cassa.

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