
«Noi siamo gente seria e perbene». Luca Lotti non ci sta e abbandona i consueti toni pacati per un vero e proprio sfogo contro chi lo tira in ballo per la vicenda Consip. Con tanto di mozione di sfiducia presentata alle Camere dal M5S. «Ora basta», lo sfogo affidato a Facebook dal ministro dello Sport, coinvolto nell’inchiesta per una presunta rivelazione di segreto d’ufficio. «Attendo che eventualmente si celebri il processo, nelle aule di tribunale e non sui giornali», incalza Lotti. Che non solo si difende personalmente, dicendosi «totalmente estraneo» a tangenti, arresti e appalti di cui si parla. «Non mi occupo e non mi sono mai occupato di gare Consip, non conosco e non ho mai conosciuto il dottor Romeo», chiarisce. Denuncia allo stesso tempo una «vergognosa campagna» in corso, nonostante la quale con il tempo la verità, cioè la propria onestà, verrà a galla. Onestà manifestata «nel governo di Firenze e del Paese». Il riferimento al capoluogo toscano dice già che al centro del contendere c’è l’ex sindaco ed ex premier Matteo Renzi e il cosiddetto 'Giglio magico', ribattezzato ieri dall’Espresso - nell’anticipazione di un’inchiesta che uscirà domenica - il 'Giglio nero'. Nell’indagine, oltre al padre di Renzi, Tiziano (che ieri ha definito la vicenda «un incubo») spunta, poi, il nome del toscano Denis Verdini.

I due vengono tirati in ballo dall’amministratore delegato della centrale di spesa per la P.A., Luigi Marroni. Secondo quanto scrive l’Espresso, Marroni - sentito a dicembre come persona informata dei fatti - avrebbe fatto «saltare dalla sedia i magistrati» Henry John Woodcock e Celeste Carrano, titolari del filone napoletano dell’inchiesta che poi si è diramata anche a Roma. L’ad di Consip avrebbe raccontato loro di «un vero e proprio 'ricatto' subito da un sodale di Tiziano Renzi, l’imprenditore Carlo Russo». E riferito di «pressanti 'richieste di intervento' sulle commissioni di gara per favorire una specifica società. Nonché «di 'incontri' riservati con il papà di Renzi a Firenze» e «di 'aspettative ben precise'» da parte dei due «in merito all’assegnazione di gare d’appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro». Marroni - peraltro un manager in quota renziana ieri ha anche annunciato l’annullamento degli appalti sospetti e ha detto di aver presentato le dimissioni al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che gli avrebbe detto di restare. Renzi padre sulla vicenda, che lo vede indagato per traffico di influenze, torna a difendersi: «Non ho mai chiesto soldi. Non li ho mai presi». Ribadisce di non avere «nulla da nascondere» e si dice sicuro che i magistrati potranno verificare quanto asserisce. Elementi in questo senso potrà fornirli lui già oggi, quando sarà sentito a Piazzale Clodio dai pm romani.
Lunedì sarà la volta dell’interrogatorio di garanzia in carcere per l’uomo chiave dell’inchiesta, l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, arrestato dalla procura di Roma per corruzione. Secondo gli inquirenti avrebbe messo in piedi un sistema per pilotare le gare, in collaborazione con manager e politici. Un esponente del Pd napoletano, Alfredo Mazzei, ha riferito ai giornali di una cena a tre di cui gli avrebbe parlato Romeo: l’imprenditore si sarebbe incontrato con Renzi senior e Russo in una «bettola» fuori mano, per non farsi notare, entrando da una porta secondaria. Circostanza anche questa smentita da Tiziano Renzi, che ammette di conoscere Russo, ma solo perché padrino di battesimo del figlio. La comparsa nello scenario del leader di Ala, che appoggia dall’esterno il governo, aumenta i rischi di fibrillazioni e fa impennare la polemica. Con il M5S che si lancia all’attacco, con Beppe Grillo che giudica l’inchiesta una «bomba atomica » sui partiti e parla di scandalo «da brividi».