martedì 23 febbraio 2010
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Sembra edulcorare la pillola, ridimensionare la frattura, con quel termine, «leggina», che ancora una volta mette in contrapposizione il presidente della Camera dal resto della sua coalizone. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano non fa in tempo a negare, insieme con La Russa e Bonaiuti, la necessità di un provvedimento ad hoc per escludere i condannati dalle liste, che subito Gianfranco Fini interviene per dire il contrario. L’ennesimo scontro si consuma, per la soddisfazione delle opposizioni, che, in finestra, guardano alle scelte e alle retromarce della maggioranza sui temi della giustizia.Così l’esclusione per legge dei condannati per corruzione dalle liste elettorali diventa l’ennesimo terreno in cui non si incontrano finiani e uomini del premier. «Anch’io – dice il presidente della Camera – sono convinto che non sia una nuova Tangentopoli, ma un fenomeno di malcostume diffuso, casi di chi se ne approfitta». E anche se «non è sufficiente essere arrestati per essere dei delinquenti», se «domani il Parlamento approvasse, con voto di tutti, una leggina in cui si afferma che chi è condannato con sentenza definitiva per reati contro la Pubblica amministrazione non si può candidare per cinque anni, secondo me la pubbblica opinione reagirebbe positivamente». Insomma, quello stesso corpo elettorale oggi sfiduciato, per Fini, «direbbe meno male e, quindi, le istituzioni politiche acquisterebbero un tassello di fiducia». Certo, specifica, «nel momento in cui si è condannati con sentenza definitiva». E non solo l’opinione pubblica sarebbe rincuorata. Anche il Pd sarebbe pronto a votare «una leggina anche di un rigo», che servirebbe solo a rinforzare lo stile già adottato al Nazareno, dice la capogruppo democratica in Antimafia Laura Garavini.Ma i contrasti nel Pdl non finiscono qui, e tanto per mettere il dito nella piaga, Fini invita i magistrati a «non vergognarsi di indagare», sebbene, minimizza ancora riferendosi alle parole di Berlusconi che aveva detto il contrario, «è noto che il governo usa espressioni molto dirette, perché ritiene di essere al centro di un particolare accanimento da parte di alcune procure».Contrasti, dunque, quando ancora una volta, solo poco prima il Guardasigilli si era espresso in maniera opposta, convinto che tocchi ai partiti compiere un «severo vaglio» dei candidati, evitando di mettere in lista coloro che hanno «curricula non brillanti», mentre qualsiasi legge sull’incandidabilità rischia di essere inutile o, peggio, di affidare alla magistratura una indebita supplenza. La soluzione del governo è il ddl anti-corruzione e oggi «i ministri Brunetta e Calderoli metteranno in connessione i tre capitoli».E a pensarla come Alfano è anche il ministro della Difesa. Liste pulite sì, ma «non accetteremmo mai che a un rinvio a giudizio corrisponda la non candidatura», ragiona Ignazio La Russa. «La decisione finale» su una candidatura «è nostra e non della magistratura». C’è poi il caso-Berlusconi, che non deve offrire «alibi», continua La Russa. La parola d’ordine è: «Massima trasparenza».Non per niente, precisa il portavoce del presidente del Consiglio Paolo Bonaiuti, «come ha detto Berlusconi, le nostre saranno liste pulite. Soprattutto dobbiamo stare attenti al fatto che si vuole diffondere l’idea di una Tangentopoli che non è Tangentopoli perché oggi c’è il finanziamento pubblico dei partiti». piuttosto, continua, «ci sono casi isolati di persone che si comportano in maniera indegna nei confronti degli elettori che li hanno votati». Niente polemiche, allora, perché per Boniauti gli elettori «devono vederci uniti».Intanto a godersi lo spettacolo sono gli avversari, pronti a scommettere sulla pulizia di casa propria. «Tutti quanti dobbiamo applicare alle liste un codice etico. Da parte nostra non c’è dubbio che queste regole di pulizia sono rispettate. Lo vedremo se lo faranno anche gli altri», commenta il segretario del Pd Pierluigi Bersani.Per ora il leader dell’Udc resta convinto che quello del governo sia «l’ennesimo spot». Ma sta emergendo, dice Pier Ferdinando Casini, specie nella sfera pubblica, «uno spaccato di corruzione e disinvoltura che fanno paura». Niente condanne sommarie al Pdl, da parte dell’Udc, ma Casini invita il premier a evitare di «attaccare la magistratura, perché una delegittimazione costante è il migliori ricostituente della corruzione».
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