domenica 19 aprile 2015
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Pubblichiamo un’anticipazione tratta dal capitolo V del libro 'Andare insieme, andare lontano', di Enrico Letta (Mondadori) in uscita il 21 aprile Andammo nella grande camera mortuaria allestita eccezionalmente in uno degli hangar del piccolo aeroporto di Lampedusa. 302 bare allineate, davanti quelle bianche e piccole dei bambini. Chi ha visto le immagini sa a cosa mi riferisco. Eppure, ciò che nessuna foto o video può restituire di quel giorno è un misto di rumore e odore. Nel silenzio assoluto, solo lo stridio gracchiante dell’aria condizionata spinta al massimo e, ciononostante, la presenza della morte, il suo odore. Mi sono inginocchiato d’istinto. Per manifestare il dolore e il rispetto, credo. Ma anche perché non potevo fare altro, nient’altro. Era, ora che ci penso, anche il 'segno' della nostra impotenza in quanto Stato e comunità nazionale di fronte a quei morti. Le vittime alla fine furono in totale 366. L’operazione Mare nostrum, come risposta a quell’impotenza, come condizione per rimetterci in piedi di fronte a quelle bare, è nata proprio lì. Nei giorni successivi, dopo riunioni e incontri tecnici, decidemmo che, a prescindere dall’Unione europea, l’Italia doveva assumere una posizione più attiva. Non potevamo assistere a quel che accadeva nel Mediterraneo senza assumerci le responsabilità conseguenti al nostro essere un ricco e importante Paese della regione. Di qui, appunto, Mare nostrum, missione umanitaria a guida italiana. È stata la scelta giusta. La più faticosa e importante della mia permanenza a Palazzo Chigi. Ha salvato migliaia di vite nelle acque attorno alle nostre coste. Esseri umani. Volti, storie, nomi e cognomi di persone oggi vive grazie all’Italia. Ci sono molte solide ragioni per criticare le politiche migratorie di questi anni. Ci sono molti argomenti per stigmatizzare l’indifferenza e l’inazione dell’Europa e di alcuni Paesi membri in particolare. Ma non c’è un motivo al mondo per sovrapporre piani distinti. L’impegno umanitario è il pilastro di quell’universo di valori non negoziabili che connotano l’Italia come nazione civile. L’ha detto, con straordinaria intensità, ancora papa Francesco dinanzi a quella tragedia, in occasione della sua visita a sorpresa a Lampedusa. (...)La distanza profonda tra l’approccio 'nordico' e quello dei Paesi mediterranei, con uno scontro valoriale tra i princìpi di responsabilità e solidarietà, finisce con il rendere immobile l’Unione, alla quale del resto gli strumenti giuridici della Convenzione di Dublino non bastano più. Da qui i compromessi faticosi, di qui le scelte sempre al ribasso. È accaduto, purtroppo, anche dopo Lampedusa. Rimasi molto colpito dalla disponibilità che l’allora presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, manifestò subito nel cambiare l’ordine del giorno del Consiglio europeo. Affrontammo effettivamente il dossier immigrazione. E nel documento finale ci furono riferimenti importanti al riguardo. Poi il tema, insieme al senso dell’urgenza che pareva caratterizzare la discussione, si è perso, scomparso. Molti Paesi hanno frenato, nonostante l’impegno che la presidenza greca del primo semestre del 2014, sotto la guida di Samaras, ha profuso. Altri hanno preferito soprassedere, girare la testa dall’altra parte, rimandare sine die, accontentarsi di risorse assolutamente insufficienti, oggi come in passato. Il rafforzamento di Triton rientra, purtroppo, nel novero delle risposte assolutamente deficitarie. Un compromesso al ribasso, che peraltro l’esacerbarsi preoccupante della situazione in Libia rende ancor più grave. Dopo tutto quel che è accaduto e che accade, possibile che l’Europa riesca a partorire solo una soluzione così parziale? L’ho detto, rompendo il silenzio, in occasione di un’ennesima tragedia, quella del febbraio 2015, sempre a Lampedusa. Bisogna fare di più, non è più concepibile rimanere inerti rispetto all’indifferenza europea. La questione immigrazione va posta, insieme alla crescita e al lavoro, in cima alle priorità di un’Unione che, anche e soprattutto su questo, se non cambia, semplicemente muore. Al contrario, l’attenzione sul punto è residuale. (...) Non so se è cinismo o assuefazione alle emergenze. Credo che sottotraccia ci sia la scarsa voglia di capire un fenomeno oggettivamente molto complesso e dalle infinite sfumature. Troppo faticoso approfondire tutti gli aspetti della questione, troppo pericoloso per la politica scoperchiare un vaso di Pandora che al proprio interno nasconde rovesci spigolosi, urticanti, profondamente divisivi. Difficile (e controproducente per il consenso) è provare a dire che le politiche per le migrazioni vanno programmate e disciplinate a partire da dati certi e incontrovertibili, rivedendo anche il meccanismo delle quote con un sistema che permetta ai diversi territori, nazionali e regionali, di non doversi sobbarcare pesi squilibrati dal punto di vista dei bisogni di accoglienza. (...) Per mesi abbiamo assistito a un crescendo, grottesco, di slogan bugiardi. Qualcuno si è spinto a legare Mare nostrum agli attentati di Parigi o a quelli alla sinagoga di Copenaghen. Cioè a fatti imputabili a cittadini francesi e danesi, che richiamano, semmai, i temi della convivenza e dell’integrazione all’interno delle nostre comunità, oltreché la necessità di un coordinamento più efficace del contrasto al terrorismo. Di certo, Mare nostrum non c’entra nulla. Chi pensa il contrario dovrebbe provare a dirlo ai richiedenti asilo siriani o eritrei, ai sopravvissuti ai naufragi davanti alle coste italiane, ai disperati, agli orfani. Figli di nessuno terrorizzati, gli ultimi degli ultimi della Terra. Forse dinanzi a quelle storie e a quei volti proverebbe vergogna. Forse. Molti si rifiutano di ammettere che la storia e la geografia ci hanno portato il conto. Prima o poi doveva accadere. È un’altra delle contraddizioni di questo tempo.
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