venerdì 2 ottobre 2020
l volantino choc in cui Cirio è raffigurato come Moro, le minacce ad Appendino, i proiettili ai giudici Viaggio nella città sospesa
Il volantino choc in cui Cirio è raffigurato come Moro

Ansa

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Con le immagini e le parole non si scherza. Sarebbe un grave errore pensare che certi simboli possano aver smarrito il loro potere evocativo. Per questo, il manifesto appeso due giorni fa a Torino, che raffigura il governatore del Piemonte Alberto Cirio nella posa che fu di Aldo Moro durante il sequestro da parte delle Brigate Rosse, lascia allibiti.

Attenzione: importa fino a un certo punto la paternità del documento (ieri sera il centro sociale Askatasuna ha preso le distanze dai volantini, parlando di «messinscena») di cui si sta occupando la magistratura. Importa molto di più la spregiudicatezza, financo la faciloneria, con cui ancora una volta si toglie dagli archivi d’Italia una pagina drammatica della storia della nostra Repubblica, come se nulla fosse. La memoria di Aldo Moro è patrimonio troppo importante per essere dato in pasto all’opinione pubblica, per quanto famelica e superficiale, di oggi.

Come ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rendendo omaggio alle vittime del terrorismo a 42 anni dall’assassinio dello statista democristiano, «lo straziante supplizio» di Moro «resterà una ferita insanabile». È un monito che vale sempre e che ci conduce dritti alla situazione odierna. È inutile dire che un clima del genere preoccupa. Preoccupa in una città come Torino, che ha visto un lievitare drammatico nell’ultimo mese di episodi contro le istituzioni e la magistratura. Preoccupa l’abitudine con cui si tende a legittimare tutto, anche un linguaggio che rimanda a foschi scenari del passato. Non è la stessa violenza di allora, per fortuna, non c’entrano nulla (almeno per ora) gli Anni di Piombo. Eppure sconvolge e un po’ sconforta leggere ancora comunicati con toni parabellici in cui si parla di «barricate», trovare in Rete riferimenti fin troppo frequenti alla necessità di «contrapporsi alla polizia».

Si dirà, l’antagonismo non è novità di oggi e in una terra che confina con la Val Susa, che ha fatto del no all’Alta Velocità una ragione di resistenza, i toni sono sempre stati questi. Però rassegnarsi a una dialettica simile non è possibile, perché suonerebbe come una resa. Bene ha fatto, dunque, il mondo politico (quasi) all’unisono a condannare tutto questo. La misura è colma. Troppi segnali concordanti, troppi indizi fanno pensare che esista una strategia mirata a creare caos e disordine, che rischia di sommarsi alle tensioni sociali naturalmente prodotte dai mesi di lockdown da cui arriviamo. Se anche si trattasse di bufale e fotomontaggi goliardici (cosa a cui non crediamo, ma a cui alludono tanti 'minimizzatori' del momento) non si potrebbe lo stesso abbassare la guardia. Perché in gioco ci sono simboli e valori. E su tutto questo non si scherza.

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