martedì 22 giugno 2021
Casi e incidenza ai minimi, ma solo la metà delle Regioni effettua indagini complete sui contatti stretti Cosa sta succedendo sul territorio e quanto pesa il sequenziamento
Come e quanto tracciare: la strategia che serve adesso all'Italia
COMMENTA E CONDIVIDI

È il ritornello che abbiamo sentito ripetere per mesi, a ogni monitoraggio del venerdì: troppi casi per ripristinare il tracciamento, troppo alta l’incidenza (cioè il numero di infetti ogni 100mila abitanti, che dovrebbe restare sotto i 50), «il virus corre e non sappiamo dove». E infatti all’ormai tristemente famosa casella “casi non associati a catene di trasmissione”, cioè non tracciati, sono stati registrati nel corso della terza ondata numeri da capogiro: tanto per riprendere i dati della settimana tra il 24 febbraio e il 9 marzo, i “contagi fantasma” furono 54.964. Considerando che, mediamente, a ogni persona positiva si associa un numero compreso tra 5 e 10 persone potenzialmente a rischio infezione, in quei 7 giorni dai 250mila al mezzo milione di italiani sfuggirono ai tamponi di controllo che avrebbero permesso di mappare la reale circolazione del virus. I risultati, li abbiamo avuti sotto gli occhi finché i vaccini non hanno iniziato a dispiegare i loro effetti.

Cercare meno

La situazione oggi è radicalmente cambiata. L’incidenza è tornata abbondantemente – e in tutta Italia – sotto la soglia dei 50 casi ogni 100mila abitanti (anzi, al momento si aggira attorno ai 13 casi secondo le stime fatte proprio ieri dall’Istituto superiore di sanità). E infatti l’ultimo monitoraggio, relativo alla settimana compresa tra il 7 e il 13 giugno, ha evidenziato che i casi non associati a catene di trasmissione sono stati appena 3.961. In tutte le Regioni, per entrare nello specifico, la percentuale di casi confermati «per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica» si è attestata sopra al 90%, fatta eccezione per la Puglia (ferma, e non è una buona notizia, al 61,3%) e il Veneto (83,7%). Abruzzo, Marche, Molise, le Province di Bolzano e Trento, Toscana, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta, tanto per intenderci, hanno tracciato il 100% dei casi.

Un risultato incoraggiante? Secondo molti esperti no, specie con lo spettro della variante Delta (più contagiosa) che si aggira in mezza Europa. Bisognerebbe fare di più, insomma, anche se il numero degli operatori addetti al tracciamento non è aumentato (si va da un minimo di 14 per 100mila abitanti a un massimo di 51 a seconda delle Regioni) e l’app Immuni non è mai decollata (download inchiodati ormai da fine anno a 10 milioni). La solita Fondazione Gimbe, sempre molto attiva nell’analisi dei dati, ha certificato per esempio con preoccupazione che assieme ai contagi nelle ultime 5 settimane sono crollati anche i tamponi (del 31,5% per l’esattezza). «Il fatto che il numero di tamponi stia calando in realtà è normale in questa fase epidemiologica – spiega Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’università Lumsa di Roma –. Quello che andrebbe tenuto sotto controllo, guardando le curve discendenti dei nuovi contagi e dei tamponi effettuati, è piuttosto che la seconda non superi mai la prima». E questo, per fortuna, non sta accadendo: i casi cioè scendono molto più in fretta dei tamponi effettuati. «Diciamo che un parametro da tenere presente dovrebbe essere – continua Maruotti – quello di effettuare sempre un numero di tamponi 5 volte superiore a quello dei casi, partendo dal presupposto statistico che in una giornata una persona ha contatti stretti con almeno altre 5 persone». Insomma cercare il virus, sì, ma proporzionalmente al momento in cui ci si trova. Ovvero, non cercarlo inutilmente. Che è la strategia scelta invece dall’Inghilterra, con la sua media di un milione di tamponi al giorno: un modello, per molti, che tuttavia non ha risparmiato al Paese la nuova ondata di contagi dovuti al dilagare della variante Delta.

Cercare dove

L’idea di mantenere un numero fisso di tamponi – né troppi né troppo pochi – è anche sul tavolo del ministero della Salute: «Stiamo mettendo a punto degli strumenti per raccomandare che, anche in una fase con una circolazione limitata del virus, non si scenda sotto una certa soglia» ha chiarito proprio ieri il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, in audizione in commissione Sanità al Senato sullo stato delle attività di sorveglianza. Ma come fare, se coi casi in picchiata e i vaccinati (cioè i protetti da forme gravi e sintomatiche) in aumento sempre meno persone nelle prossime settimane chiederanno di essere tamponate? «Una buona strategia – continua Maruotti – potrebbe essere quella di programmare screening e tamponi dove sono previsti assembramenti, soprattutto in presenza di persone non vaccinate». È il caso della scuola, ed è l’appello che in queste ore ha lanciato alle autorità sanitarie anche l’ordinaria di Pediatria all’Università di Parma e presidente dell’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid) Susanna Esposito: «Abbiamo tempo per organizzarci e dobbiamo farlo al più presto. Dopo la pausa estiva, che quasi certamente segnerà un’ulteriore contrazione dell’epidemia, è sulla scuola che dobbiamo investire per il tracciamento dei casi» spiega la pediatra. Tamponi ogni 15 giorni (7 nel caso l’epidemia dovesse tornare a correre) sugli studenti delle scuole superiori e sul personale scolastico nei gradi inferiori: «Questo ci permetterebbe di tenere sotto controllo i contagi nel luogo dell’assembramento per eccellenza, ma anche di monitorare quello che accade a casa, nelle famiglie, e persino sui mezzi pubblici». I più piccoli (cioè i meno vaccinati) come “sentinelle” e termometri della possibile ripresa della circolazione del virus: «Senza lesinare sulle risorse per questo tipo di tracciamento e senza insistere necessariamente sui salivari, visto che i tamponi rapidi sono ormai entrati nell’esperienza quotidiana dei tutti, anche dei ragazzi».

Cercare meglio

È la sfida del sequenziamento, invece, quella che preoccupa di più il direttore del Dipartimento di Sanità pubblica di Piacenza Marco Delledonne, in prima linea in queste ore nel contact tracing sul focolaio di variante Delta scoperto nella sua città: «A tracciare siamo diventati bravi, nonostante parte del personale sia stato dirottato sul fronte delle vaccinazioni e si faccia fatica con le persone che abbiamo – spiega –. Il problema che andrebbe risolto subito, approfittando del crollo dei nuovi contagi, è invece quello del sequenziamento dei tamponi positivi per individuare le varianti». Secondo Delledonne farlo con l’1% dei test, come avviene per ora, «è come lanciare in aria una monetina. Non serve a niente. Qui a Piacenza i tamponi vengono sequenziati tutti ed è per questo che siamo riusciti a circoscrivere il focolaio di cui i media tanto stanno parlando». Cercare meglio, non necessariamente di più: la partita del tracciamento è ancora tutta da giocare.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: