sabato 13 luglio 2013
​Il capo dello Stato replica a un quotidiano che gli ha addebitato l'intenzione di voler graziare Berlusconi con il «consenso» di Letta: «Sguaiati e irresponsabili, vogliono avvelenare il clima». Il premier irritato: chi vuole la crisi la provochi a viso aperto.
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È legittimo mettere in pagina possibili soluzioni politiche al caso-Mediaset, ma non è certo legittimo dire che Napolitano è, di tali soluzioni, il principale sponsor, al punto da adoperarsi per farla "digerire" ad Enrico Letta e a un Pd già in frantumi. Il capo dello Stato fa trapelare una forte irritazione per l’ipotesi, a lui attribuita dal quotidiano Libero, di voler concedere la "grazia" a Silvio Berlusconi in caso di condanna definitiva per il caso-Mediaset. «Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del presidente della Repubblica in un futuro indeterminato – dicono con inusuale durezza fonti del Colle – sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale». Chi arriva sino a questo punto, continuano dal Quirinale, «dà il senso di una assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica». Ma Libero insiste, ripropone il tema sul sito web, e in modo ancora più irrituale Napolitano fa diramare una seconda smentita: «Sulla scrivania del presidente non ci sono pratiche immaginarie come quella descritta».Il capo dello Stato, insomma, intuisce che più di qualcuno gioca al "tanto peggio tanto meglio". Un giorno lo fanno i falchi del Pdl, l’altro quelli del Pd. Ma le quattro righe dettate all’agenzia lanciano un segnale forte: è ormai chiaro che ci sono forze nella destra e nella sinistra della maggioranza che vogliono andare al voto scaricando le colpe dall’altra parte, ma il capo dello Stato e il premier non lo consentiranno e sono pronti a mettere «i panni sporchi in piazza», dicono fonti del governo. Dire poi, in sostanza, che Napolitano vuole dare la grazia a Berlusconi in nome della "realpolitik" serve, osservano persone vicine al premier, a stressare ancora di più i democrat e provocare la crisi. Gli articoli di Libero, spiegano ancora diversi fedelissimi di Letta, sono costruiti in modo da far insorgere la base Pd e dare fiato a renziani, prodiani e civatiani. Non è da escludere, in base a queste considerazioni, che sia stato lo stesso Letta a chiedere al Quirinale di chiarire la vicenda.Non che la giornata fosse filata via liscia. Anzi. Proprio ieri 25 senatori del Pd rappresentanti delle maggiori correnti, con primi firmatari Massimo Mucchetti e il capogruppo Luigi Zanda, hanno presentato una riforma della legge sull’ineleggibilità del ’57 (nei giorni scorsi ci sono state polemiche nel Pd: i "governisti" affermano che in base ai pronunciamenti delle Camere negli ultimi venti anni Berlusconi debba restare senatore; l’altro terzo del partito vorrebbe invece associarsi a Sel ed M5S ed estrarre il "cartellino rosso" al Cavaliere). Cosa dicono Zanda e Mucchetti? In sostanza, ritengono che essere azionista di controllo di un’azienda in potenziale conflitto d’interesse sia motivo di incompatibilità con il seggio in Parlamento. L’"incompatibile" avrebbe dunque un anno di tempo per vendere le sue quote o rinunciare allo scranno. La proposta però ha il doppio effetto di scatenare il Pdl ed M5S. «È surreale, è un esproprio», dicono gli azzurri in coro portando a paragone il "blind trust" americano, il "congelamento" a tempo delle azioni. Mentre Beppe Grillo, sottolineando l’anno di tempo concesso per vendere gli assetti, sferza il Pd: «Sono fedeli come un cane a Silvio, sono pronti a salvarlo». Con qualche esagerazione verbale in meno, è lo stesso sospetto dei pd Civati e Puppato. L’ineleggibilità non c’entra nulla con l’eventuale decadenza che colpirebbe il Cav in caso di condanna della Cassazione. Quella è un’altra partita.
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