venerdì 8 dicembre 2017
Due anni, una malattia rarissima. La famiglia lotta da sola. All’ospedale, subito dopo la nascita, dicevano che non sarebbe sopravvissuta. Dopo cinque interventi, oggi è a casa
Clizia, la sua vita è un miracolo. Ma per i burocrati è un problema
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Compirà due anni proprio durante le feste di Natale anche se, secondo i medici, la sorte della piccola Clizia di Pesaro era già scritta dal grembo materno e non avrebbe potuto sopravvivere alla nascita a causa di una patologia talmente rara da non essere neppure classificata. Clizia invece in questi due anni ha messo radici aggrappandosi con tutte sue le forze alla vita, come la fanciulla del mito greco della metamorfosi che, per non soccombere al suo destino, venne trasformata in un fiore. Ha passato indenne ben cinque interventi chirurgici invasivi dapprima al policlinico 'Gemelli' di Roma, dove è nata, ed in seguito all’ospedale pediatrico 'Bambino Gesù' dove ha trascorso gran parte della sua breve esistenza.

Oggi Clizia è tornata sulle colline di Pesaro, dove vive con la mamma Michela, insegnante di scuola primaria, e papà Luca, dipendente in un mobilificio della provincia. In famiglia ci sono altri quattro fratelli. Clizia è il gioiellino di casa e, nonostante sia priva di una parte del cervello e non possa camminare, ha spiazzato i medici iniziando a dire le sue prime paroline e riuscendo a relazionarsi con tutto ciò che la circonda. Ama la musica che ascolta dal tablet, e adora i dottori clown del 'Gemelli' che l’hanno resa celebre realizzando con lei un breve spot. «Con Clizia viviamo alla giornata – spiega mamma Michela – consapevoli della sua enorme fragilità che abbiamo accolto ed accettato come un dono, ma ciò che non possiamo più accettare è il totale abbandono in cui ci hanno lasciato le istituzioni». E da qui inizia un’altra storia. Perché oltre a dover combattere contro una malattia gravissima, la sua famiglia si trova da mesi alle prese con una burocrazia che vede Clizia solo come un problema. «Gli infermieri dell’assistenza domiciliare si sono visti solo all’inizio ma ora non passano più perché – racconta la mamma – mi hanno detto di non saper gestire questa patologia, stesso discorso per i riabilitatori».

E così per accudire sua figlia, Michela è stata costretta a rifiutare le supplenze a scuola e solo grazie alla Cisl è riuscita a non perdere il suo posto di lavoro. È lei che provvede alla gestione del catetere, alla ventilazione meccanica non invasiva (Niv), alla derivazione liquorale... La Asl di Pesaro non le passa neppure i cerotti o i guanti per le medicazioni e da maggio non è ancora arrivata la poltroncina posturale regolarmente prescritta dal 'Bambino Gesù'. Ogni spesa è a carico della famiglia che può contare solo sulle agevolazioni previste dalla legge 104 per i permessi sul lavoro di papà Luca e sui 160 Euro del bonus bebè. «Addirittura non siamo ancora riusciti ad avere il rimborso per i giorni di ricovero – prosegue Michela – e attualmente l’Anmic ci sta fornendo l’assistenza legale». Per le urgenze è costretta a recarsi a Rimini perché, nonostante il 'Bambino Gesù' di Roma abbia provato a coordinare un tavolo sanitario con la Asl locale, Clizia nella sua città è una perfetta sconosciuta tanto che l’estate scorsa, al sopraggiungere di una crisi respiratoria acuta «ci hanno portato al pronto soccorso di Pesaro con un’ambulanza senza medico e mia figlia durante il tragitto ha desaturato a livelli bassissimi».

A Rimini invece Clizia è accolta a braccia aperte e con la dovuta competenza ma «noi viviamo a Pesaro – dice Michela – e lei deve avere gli stessi diritti di tutti gli altri bambini ed invece mi sento sempre ripetere che lei è un problema, quando il vero problema sono gli uffici della mia città che sbagliano ad esempio a mettere un timbro oppure non mi comunicano al telefono il valore di un esame o mi costringono a parlare con il neurochirurgo per una semplice ricetta. Tutte perdite di tempo inutili che si ripercuotono sull’intera famiglia». E così la giornata di Clizia prosegue tra mille inconvenienti aggiuntivi come le multe per eccesso di velocità che ormai fioccano in casa «e che dobbiamo ancora ritirare perché purtroppo sappiamo già che non riusciremo a pagarle, dato che non abbiamo più soldi». Infatti non potendo sostenere il costo di un’ambulanza per raggiungere Roma, sono costretti a viaggiare con una grossa e pericolosa bombola d’ossigeno a bordo, correndo oltre i limiti stradali consentiti per raggiungere il 'Bambino Gesù'. Clizia infatti desatura così rapidamente che, in più di un’occasione, una volta raggiunto l’ospedale di Roma, l’hanno dovuta ricoverare direttamente in terapia intensiva.

Di fronte a tutto ciò, Michela ha deciso di rivolgersi al Sindaco «che però non mi ha ricevuto personalmente perché mi hanno detto che era troppo impegnato sulle questioni cittadine, quasi che Clizia non fosse parte di questa comunità. In ogni caso dal Comune mi hanno chiesto cosa mi aspettassi da Pesaro e se fossi disposta a cambiare città. Per noi si tratterebbe di sradicare tutto, ma lo farei ed anche subito, solo che prima vorrei che mi mettessero nero su bianco che la mia città non è in grado di seguire mia figlia con la necessaria cura». Dopo aver bussato ovunque, come nella notte di Natale, la mamma di Clizia ha infine preso carta e penna ed ha scritto a Papa Francesco. «L’ho fatto anche per tante altre famiglie pesaresi che conosco e che ormai non hanno più la forza di lottare. Gli ho raccontato tutto come ad un padre e gli ho scritto che ringrazio Dio per avermi messo in grembo un angioletto di nome Clizia».

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