sabato 21 maggio 2016
​​Il Tar della Toscana accoglie il ricorso del Comune di Zeri contro la chiusura dell'ufficio postale. "Ha una funzione di coesione sociale ed economica sul territorio" scrive il tribunale regionale della Toscana nella sentenza. Ma le Poste vanno avanti: chiuderanno 455 uffici.
Poste, i Comuni vincono sulle chiusure
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«La chiusura di un ufficio postale non può essere disposta solo per ragioni di carattere economico, senza ponderare il pregiudizio alle esigenze degli utenti». Lo ha ribadito il Tar della Toscana, accogliendo il ricorso del Comune di Zeri, borgo montano di mille abitanti in provincia di Massa e Carrara, contro la decisione di Poste italiane di rimodulare l’orario di apertura dell’ufficio del paese, garantendo il servizio soltanto tre mattine a settimana. Nelle motivazioni della sentenza, il Tar toscano ricorda che «la disciplina comunitaria e quella nazionale assegnano particolare rilievo al ruolo fondamentale» dell’ufficio postale, «nella funzione di coesione sociale ed economica sul territorio». Una funzione che non può venire meno, ricorda la magistratura amministrativa, soprattutto «in territori particolarmente disagiati», come quelli di montagna, pena l’impoverimento delle comunità locali. Per le stesse ragioni, nei giorni scorsi sempre il Tar della Toscana aveva dato ragione al Comune di Pistoia, che aveva presentato ricorso contro la chiusura degli uffici postali di Cireglio, Le Grazie, Pracchia, Sammommé e Villa di Baggio e la riduzione d’orario dello sportello di Piteccio. Una soluzione «inaccettabile» per il sindaco di Pistoia, Samuele Bertinelli, che oggi parla di «decisiva vittoria delle ragioni degli enti locali e delle realtà territoriali». I pronunciamenti contro il piano di riorganizzazione di Poste Italiane, che prevede, in un quinquennio, la chiusura di 455 uffici e la razionalizzazione di altri 609, non sembrano però scalfire le intenzioni dell’azienda, decisa a portare avanti il progetto pur assicurando l’intenzione di «mantenere la capillarità della presenza sul territorio e la prossimità ai cittadini». Promesse che, però, non convincono Massimo Castelli, sindaco di Cerignale, paese di 129 abitanti sull’Appennino piacentino e coordinatore dei piccoli Comuni dell’Anci. «Nel piano di Poste c’è una contraddizione di fondo – spiega Castelli – e riguarda il fatto che quest’azienda fornisce un vero e proprio servizio sociale, che non può essere cancellato per ragioni di bilancio». Tra l’altro, ricorda Castelli, i tagli previsti avrebbero un impatto minimo sulla gestione complessiva di Poste, visto che si tratta di poco più di mille uffici (tra chiusure e rimodulazioni d’orario) su oltre 13mila. «Ne vale la pena?», chiede il sindaco emiliano. Che aggiunge: «È un’operazione che impoverisce i territori e crea un danno d’immagine anche alla stessa azienda, perché va a minare alla radice un rapporto di fiducia secolare con i cittadini». E a «pagare il conto più salato», prosegue Castelli, saranno, ancora una volta, «i più deboli », che abitano territori già marginalizzati e che lo saranno sempre di più. «Le tasse le paghiamo anche noi, non soltanto chi abita nelle grandi città», sbotta il primo cittadino piacentino. Più conciliante, ma altrettanto ferma, la posizione del sindaco di Baldichieri d’Asti, Gianluca Forno, che governa una comunità di 1.100 abitanti sulle colline piemontesi e coordina i piccoli Comuni dell’Anci regionale.  «Con Poste è in corso una fattiva collaborazione – ricorda – e a breve ci incontreremo per verificare l’impatto del Piano di riordino sulle nostre comunità locali». Intanto, però, contro le chiusure degli sportelli, Forno sostiene il ricorso di 41 sindaci piemontesi al Tar del Lazio, che ha rimpallato la questione alla Corte di Giustizia europea, di cui si attende a breve un pronunciamento. Secondo i giudici amministrativi, infatti, il Piano di Poste viola il principio di «universalità del servizio» stabilito dalle direttive comunitarie. «Il messaggio che arriva dai Tar è molto semplice – sottolinea Forno –: queste decisioni devono essere concertate col territorio. Perché non è possibile portare avanti politiche di ripopolamento delle aree interne, continuando a tagliare i servizi essenziali».
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