martedì 24 settembre 2019
Un'attività, l'elicoltura, con molti risvolti. Se ne parla fino dal 27 al 30 settembre al festival “Il futuro è chiocciola” in corso a Cherasco, in provincia di Cuneo
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Calma, tranquillità, sicurezza, rilassatezza, ciclicità del tempo, contatto con la natura. Sono le sensazioni positive trasmesse dalle chiocciole – vietato chiamarle lumache - alle persone affette da patologie mentali. Prendersi cura di questi animaletti, provvedere al loro nutrimento, sistemare l’orto e gli altri spazi adatti al loro allevamento crea situazioni ideali di benessere capaci di influire positivamente sulle condizioni di salute dei malati di mente.

Da tempo sono noti i benefici della pet therapy, prassi medica pensata per fragilità di vario tipo in cui solitamente si impiegano cavalli o cani. Ma ci sono malati che hanno necessità di confrontarsi con animali più piccoli, meno esuberanti e che quindi richiedono un minore investimento emotivo.

Da qui l’idea di Simone Sampò, presidente dell’Associazione nazionale di elicoltura: “Perché non proviamo con le chiocciole?”. Detto, fatto. I primi a beneficiarne sono stati 32 ospiti dell’istituto “Monsignor Signori” di Fossano (Cuneo) ¬– un’Opera pia attiva dal 1914 - che da sei mesi sperimentano gli effetti benefici di questa pet human therapy in scala bonsai per quanto riguarda le dimensioni, non per gli effetti. La prassi stimola dolcemente la sfera sensoriale del malato, sollecitando in modo soft attenzione, capacità di cura, ciclicità degli interventi.

Ora “Matti per le chiocciole”, il nome che si è voluto assegnare a questa iniziativa – a metà strada tra l’ironico e il dissacratorio – ha oltrepassato i confini piemontesi e sta arrivando anche in altri centri per la cura delle malattie mentali in diverse regioni italiane. “Il nostro aiuto – prosegue Sampò – si concretizza nell’offerta di un impianto elicicolo completo e di tutta l’assistenza per la sua gestione; si tratta di un progetto che ha la forza di coinvolgere gli ospiti attraverso il lavoro, costruendo buoni risultati giorno dopo giorno, passando dall’aspettativa alla gioia del raccolto”. Poi, le chiocciole allevate al “Monsignor Signori” – e negli altri centri che già hanno espresso l’intenzione di avviare la stessa sperimentazione – saranno destinate alla trasformazione gastronomica, nell’ambito di una linea di prodotti intitolata “Buone da matti”, e saranno commercializzate per finanziare altre iniziative.

Ma chi pensa che il destino delle chiocciole sia solo quello di finire nei piatti dei gourmet sbaglia di grosso. Come capita per il maiale, della chiocciola non si butta via nulla. La bava, per esempio, è preziosissima nella cosmetica e nella farmaceutica.

Se ne parla fino dal 27 al 30 settembre al festival “Il futuro è chiocciola”, a Cherasco, sempre in provincia di Cuneo. In calendario il 48esimo Incontro Internazionale di elicicoltura. Obiettivo quello di scoprire un allevamento che sta guadagnando la fiducia dei produttori e conquistando consumatori sempre più esigenti, informati e attenti. Mille e uno gli utilizzi della chiocciola, dalla cosmetica alla cucina, dalla medicina al sociale.

Ma sarà anche una grande festa per festeggiare un anno di svolta, forte crescita economica e grande espansione per la “chiocciola metodo Cherasco”. Degli 870 allevamenti elicicoli in Italia, ben 550 seguono il “Disciplinare metodo Cherasco” per un volume d’affari che ha presto raggiunto i 220 milioni di euro e le 9.200 persone che lavorano nell’indotto.

Numeri importanti che determinano il sostanziale contributo della chiocciola all’economia italiana, mentre il “metodo” è stato adottato anche dagli elicicoltori di altri 14 paesi nel mondo: Libano, Spagna, Grecia, Marocco, Tunisia, Malta, Giordania, Georgia, Ungheria, Bulgaria, Francia, Croazia, Serbia, Australia. La richiesta solo in Italia arriva a 246.000 tonnellate annue, ma il “metodo”, la cui qualità è determinata da un rigido disciplinare e una dieta esclusivamente vegetale, ne soddisfa solo il 7%. Purtroppo l’80% del consumo viene importato proprio da paesi quali Turchia, Indonesia, Romania, che producono animali di cui non conosciamo l’alimentazione, cresciuti in terreni ad alto contenuto di metallo, ma a basso costo.




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