giovedì 2 febbraio 2017
Solo otto interventi nel Lazio, mentre nelle Marche sono stati 90 e in Umbria 24. «Non è quello che ci saremmo aspettati»
La chiesa di Sant'Agostino ad Amatrice (Ansa)

La chiesa di Sant'Agostino ad Amatrice (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

«All’inizio dell’anno si registravano nel Lazio solo otto interventi di messa in sicurezza dei beni culturali, contro i 90 delle Marche, i 24 dell’Umbria e i 15 dell’Abruzzo. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona. Nel migliore dei casi una sorta di miopia». È lo sfogo del vescovo di Rieti, Domenico Pompili. «Io sono sempre rimasto silente e rispettoso – aggiunge – ma non è quello che ci saremmo aspettati».

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il crollo del 29 gennaio, dopo una nuova scossa, della parete sinistra della chiesa di Sant’Agostino, già pesantemente lesionata. «Nella parete che è venuta giù c’erano due bellissimi affreschi medievali – ricorda il vescovo –. Ora ci dicono che tutto sarà rifatto. Ma con che costi?». E ora guarda con preoccupazione alle oltre cento chiese danneggiate nell’area colpita dalle scosse. «Vanno tutte messe in sicurezza, certo sulla base di un ragionevole criterio di priorità. Bisogna cominciare dalle più importanti: S.Agostino, S. Francesco, il santuario della Madonna della Filetta e quello dell’Icona Passatora, Santa Maria di Accumoli e poi tutte le altre».

In particolare i due santuari, «luoghi simbolici per la devozione della gente di Amatrice. Lì bisogna mettere in sicurezza non solo all’esterno ma anche all’interno, perché ci sono affreschi che meritano di essere preservati». Ma è sui ritardi che Pompili usa parole forti. Soprattutto nel confronto con le altre regioni, come dimostrano i numeri degli interventi. «Dopo la scossa del 30 ottobre la basilica di San Benedetto a Norcia è stata puntellata a dovere, cercando di salvare il salvabile. Le nostre chiese, e non parlo solo di Amatrice e Accumoli ma anche di Borbona, Posta, Cittareale, Borgo Velino, Leonessa, dal 24 agosto sono esposte alle scosse senza particolari protezioni. Ci saranno senz’altro delle ragioni, ma a parità di normative si è agito in modo diverso».

Oltretutto degli otto interventi solo due hanno riguardato chiese. Insomma, insiste, «noi, purtroppo, siamo in questa situazione con largo anticipo rispetto agli altri. Ma in quelle zone è stato fatto subito, da noi no. E più passa il tempo e più diventa complicato». È quello che il vescovo andrà a dire domani a Macerata all’incontro convocato dal commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani. Ci saranno tutti i vescovi delle aree terremotate e anche i responsabili della Cei, il sottosegretario, monsignor Giuseppe Baturi e il direttore dell’ufficio nazionale per i beni ecclesiastici, don Valerio Pennasso.

«Una risposta immediata c’è stata con la messa in sicurezza della Cattedrale di Rieti, dove ho potuto celebrare il Natale – ricorda ancora Pompili –, ma non era particolarmente impegnativa. Poi, altre messe in sicurezza non se ne sono viste». Inoltre, aggiunge, «c’è da fare una distinzione tra il recupero dei beni mobili che è stato fatto in larga misura con cura e impegno, e quello degli edifici che non è stato fatto. Un’evidente cura a due velocità». Eppure, sottolinea, «abbiamo incrementato il nostro ufficio tecnico con l’inserimento di ingegneri strutturisti, siamo stati da subito a disposizione per fare i sopralluoghi, però poi c’è tutta una filiera che bisogna rispettare e dobbiamo stare alle loro indicazioni».

Ed è qui l’altro punto dolente, quello «colto anche da Papa Francesco, quando ha parlato della 'burocrazia che fa aspettare le vittime del terremoto'». Così, ricorda ancora il vescovo, «in teoria come diocesi avremmo la possibilità di intervenire per mettere in sicurezza, ma in pratica non è possibile perché mancano i protocolli. E anche questo è il sintomo di qualcosa che non funziona. Sapevamo che le cose sarebbero state difficili, ma non così complicate». E non si tratta solo di salvare le chiese. «Abbiamo pagato il prezzo più alto in termini di vite umane, che si riflette anche sullo spopolamento del territorio, perché quando in un paese di 2mila abitanti ne togli 200 è un colpo davvero forte. Questo va tenuto presente, non è la stessa cosa di altre regioni dove, grazie a Dio, questi morti non ci sono stati. Qui bisogna farsi carico della conservazione del volto di un territorio, della sua storia, di non lasciarlo inghiottire dal terremoto».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: