sabato 16 febbraio 2019
Con la Messa di Bergoglio si è aperto a Sacrofano l'incontro promosso da Migrantes, Caritas e Centro Astalli. Di Tora: parole determinanti per rinnovare la speranza
Archivio Ansa

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Organizzato dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli, l’incontro delle realtà di accoglienza "Liberi dalla paura" aperto ieri dal Papa, si tiene presso la Fraterna Domus di Sacrofano vicino Roma e si concluderà domani, domenica 17 febbraio. Il Meeting è dedicato a coloro che hanno ospitato o sono stati ospitati da realtà impegnate in percorsi di accoglienza per i migranti. Oggi e domani il programma prevede l’alternarsi di relazioni al lavoro nei gruppi di studio. Il Meeting si concluderà domenica con la presentazione di un Messaggio al Paese. Il tutto, spiega una nota degli organizzatori, è finalizzato a «scambiarsi idee, esperienze e progettualità e anche esprimere gratitudine a quanti, con la loro disponibilità, sono segno di autentica fraternità e costruttori di una cultura inclusiva».

La presenza del Papa al meeting "Liberi dalla paura" è «motivo di conforto e sostegno a osare la solidarietà, la giustizia e la pace». Lo ha detto nel suo saluto a nome dei presenti il segretario generale della Cei, Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica. Riferendosi al Vangelo proclamato durante la celebrazione, il presule ha detto che «Pietro, che osa avventurarsi sul mare in tempesta, ci dà l’esempio e ci incoraggia a non avere paura, a non ripiegare su certezze consolidate per evitare il rischio di esporci, ad avere il coraggio di fidarci, fino al dono di noi stessi». Di qui il suo grazie a Francesco, «perché ci incoraggia a non avere paura e ci dà l’esempio». Un grazie esteso anche alle «tante persone, che continuano a tenere aperta al fratello la loro porta e il loro cuore». «Comunità accoglienti», «segno e lievito di una società plurale – ha concluso Russo –, costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili».

La liberazione degli italiani dalla paura dei migranti non sarà un processo facile. Ma ieri, da Sacrofano, è partito un cammino nuovo, con una tre giorni voluta da Caritas italiana, Centro Astalli e Fondazione Migrantes. L’obiettivo? Famiglie, parrocchie e comunità che hanno accolto i profughi possono conoscersi e confrontarsi. «Saluto l’Italia che non ha paura di accogliere » ha detto il direttore della Migrantes don Gianni De Robertis, aprendo l’incontro dopo che papa Francesco, accolto dal segretario generale della Cei monsignor Roberto Russo, era ripartito. Gli hanno donato l’icona del pittore brasiliano Durval che raffigura Cristo che cammina sulle acque e dice ai discepoli di non avere paura.

«Per non avere paura bisogna iniziare ad ascoltare le storie» fa eco il direttore della Caritas nazionale, don Francesco Soddu, davanti ai 500 presenti, tra cui rifugiati di 90 diverse nazionalità. L’incoraggiamento del Papa riecheggia anche nelle parole del direttore del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti: «Chi li ascolta, non può restare indifferente». Le cifre ufficiali della Chiesa le offre Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas: «Con circa 21.500 persone accolte in realtà comunque collegate, la Chiesa è prima in Italia». Quanto alle accuse di fare dell’accoglienza un business, cioè impresa lucrativa, Forti puntualizza: «L’attività in convenzione con lo Stato viene fatta con un contributo economico pubblico; senza sarebbe difficile. Ma per il 99% le imprese sociali lavorano con onestà e pagano le colpe di alcuni malfattori. Comunque la nostra è sussi- diarietà, che non toglie allo Stato la responsabilità dell’accoglienza».

Presentate dal giornalista di Tv2000 Vito D’Ettorre, sfilano a Sacrofano le storie di chi ha accolto e di chi accoglie. Come Sussy, rifugiata dal Camerun, quarantenne che vive a Roma in una comunità di secondo livello (semi- autonoma) del Centro Astalli: «Sono sola in Italia – racconta –, ho una figlia che ho dovuto lasciare in Nigeria da un’amica. Non poteva venire con me; dovevamo scappare, eravamo in pericolo. La destinazione non mi importava, dovevo solo trovare un posto sicuro. Una volta a Roma mi hanno indicato la stazione Termini: lì avrei trovato qualcuno che parlava la mia lingua e mi avrebbe aiutato. Ho vagato tanto tempo fino a quando un signore mi si è avvicinato e mi ha detto: 'Vai a via degli Astalli, lì puoi mangiare e farti una doccia. Poi chiedi di parlare con un medico e un avvocato' ». Quello che ha colpito Sussy è che alla mensa non ha fatto la fila: le donne hanno la precedenza; da questo ha capito di essere finalmente al sicuro. Debelè viene dal Mali e la sicurezza l’ha trovata dai Mottola, genitori con due figli della parrocchia San Nicola di Casal di Principe, diocesi di Aversa: quella di don Peppe Diana. «Il deserto è peggio del mare, non sapete quanta gente muore lì».

Debelè è stato anche nelle galere libiche ed è arrivato a bordo di un barcone. Don Franco Picone, il parroco, spiega che l’accoglienza partì proprio grazie a don Diana: «Aprì un locale attiguo alla chiesa per i raccoglitori di pomodori». A Pegognaga, bassa Mantovana, Arnaldo De Giuseppe e un gruppo di famiglie hanno visto il Papa accogliere i siriani bloccati a Lesbo e hanno contattato Sant’Egidio. Così hanno dato casa e lavoro a una coppia con tre bambine, oggi ben inserita, stimolando anche la parrocchia a fare altrettanto. Storie di un Paese nascosto e coraggioso, che naviga in direzione ostinata e contraria ma sulla rotta giusta.

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