martedì 4 luglio 2017
Il vescovo di Locri Oliva e il ministro dell'Interno Minniti, per la prima volta insieme nella chiesa usata in passato per le affiliazioni ai clan di 'ndrangheta
Giornata di festa, ieri, al Santuario della Madonna di Polsi

Giornata di festa, ieri, al Santuario della Madonna di Polsi

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«Troppo a lungo mafia e Chiesa sono andate a braccetto nello stesso territorio. La mafia non era contro la Chiesa e la Chiesa non mostrava grande interesse a mettersi contro di essa. Ma – aggiunge il vescovo – la sottovalutazione del fenomeno mafioso è stata della Chiesa ma non solo. Tutta la comunità civile l’ha sottovalutata per un lungo periodo». Sono parole chiare, che scuotono, quelle del vescovo di Locri, monsignor Francesco Oliva. Soprattutto perché le pronuncia nel Santuario della Madonna di Polsi, luogo di forte e importante spiritualità, ma anche simbolo della ’ndrangheta che vi ha svolto vertici e 'riti' di affiliazione. Al suo fianco Marco Minniti, «sono qui come ministro dell’Interno e a Polsi non era mai successo – ci tiene a sottolineare – ma non posso dimenticare di essere figlio di questa terra». C’è la Chiesa e ci sono le istituzioni nella piccola chiesa della 'Madonna d’à montagna', come viene chiamata dai fedeli che accorrono a decine di migliaia tra agosto e settembre. Sono qui per l’incontro su «La simbologia del Santuario tra sacro e legalità», voluto con forza dal prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari, e subito sostenuto dal vescovo.

Riappropriarsi di un simbolo

Un forte segno per riappropriarsi di un simbolo usurpato dalla ’ndrangheta che, denuncia Oliva, «è un bubbone pericoloso perché capace di strumentalizzare la fede. Forme che scimmiottano il sacro, una religiosità deviata. Gli ’ndranghetisti non fanno onore a Maria, ma sono un’offesa gravissima che nessuno può cancellare. Noi non solo non vogliamo arrenderci ma dare ai fedeli un luogo libero da contaminazioni ». Anche l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra, usa parole chiare. «L’opposto di simbolo è diavolo, il bene contro il male. Oggi è un altro forte segno dello Stato dopo la presenza del presidente Mattarella a Locri in occasione della Giornata della memoria delle vittime di mafia. Un simbolo che ora deve essere seguito da azioni concrete e formative, per dare fiducia ai cittadini verso lo Stato ».

Il «grazie» dello Stato alla Chiesa calabrese

E lo Stato risponde attraverso il suo ministro. «A monsignor Bertolone e a monsignor Oliva da credente e da calabrese dico «grazie» per le parole di potenza straordinaria che hanno pronunciato. Più chiaro di così non potevano dire. La Chiesa è di Dio e Dio non può essere accostato alla ’ndrangheta che è la cosa più iconoclasta che ci possa essere. È un peccato grave. Gli iconoclasti sono fuori dalla Chiesa. Nel nome di Dio non ci può essere violenza. Su questo è rottura coi mafiosi. Su questo si rompe, ci si separa». Perché, insiste, «la ’ndrangheta è il contrario di fede, amore, libertà, onore. È il nemico mortale di una società che vuole liberarsi, non ci sono subordinate». Poi un impegno preciso: «Liberare la Calabria, il Paese dalle mafie è una grande questione democratica ». E un avvertimento, soprattutto alla politica locale (sono presenti il governatore Oliverio e vari sindaci). «Nei prossimi anni arriveranno imponenti finanziamenti. Non dovranno servire per occupare i picciotti ma i nostri ragazzi. È un impegno morale».

«La 'ndrangheta ha profanato il santuario»

E parole forti tornano nell’intervento del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. «La ’ndrangheta è stata capace di profanare questo luogo, confondendo le sue porcherie con la Madonna. Ma che onore e dignità! ». Poi anche lui assicura: «Lo Stato non dimentica la Calabria. Questa non è una passerella. C’è un contrasto serio. Lo Stato è severo e rigoroso con la ’ndrangheta, ma anche amorevole con chi se ne vuole staccare, come tante donne, tante mamme». Giornata davvero simbolica questa, tra montagne e boschi d’Aspromonte. «È un gran segno di speranza per un luogo di Dio deturpato al quale va tolto un pesante fardello», commenta il nuovo rettore don Tonino Saraco e annuncia due iniziative molto concrete di «legalità e trasparenza: abbiamo appena attivato la videosorveglianza e la registrazione di tutti i pellegrini». E dal comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, arriva la «conferma del nostro impegno nel contrasto alla ’ndrangheta: aveva pensato di erigere qui il suo tempio. Sbagliava!». Davvero, dunque, come riflette il prefetto, «oggi stiamo scrivendo una bella pagina, ci riappropriamo del vero significato del Santuario. Si realizza un sogno ma è anche una grande sfida perché questa sia davvero una giornata epocale. C’è la gioia di combattere la ’ndrangheta ma anche la richiesta di attenzione per un vero riscatto. Oggi abbiamo posto un grande albero della vita».

Un segno di speranza e libertà

È «un messaggio di speranza» quello che viene da Polsi, ne è certo il vescovo Oliva. «Un messaggio di speranza alle nostre popolazioni spesso dimenticate e umiliate. A questo popolo non si può togliere la speranza. Sono certo che lo sguardo di Maria, madre del Divin Pastore, Madonna della Montagna di Polsi, tornerà a sorridere su quanti, fedeli di ogni tipo, vengono qui per incontrare la gioia del perdono e riprendere la via di una vita nuova». Parole accompagnate dall’improvviso volo di un uccellino, chissà come entrato in chiesa, che poi si posa sulla croce che domina l’altare. Segno di libertà.

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