martedì 28 luglio 2020
Le parrocchie mobilitate per migliaia di famiglie restate senza niente, i volontari porta a porta per aiutare. Lo tsunami del Covid-19 ha raso al suolo negozi e piccole attività imprenditoriali
I volontari e gli operatori della Caritas diocesana impegnati per assistere i poveri di Palermo. Al centro del gruppo, con la giacca scura, il vice direttore della Caritas don Sergio Ciresi

I volontari e gli operatori della Caritas diocesana impegnati per assistere i poveri di Palermo. Al centro del gruppo, con la giacca scura, il vice direttore della Caritas don Sergio Ciresi - Caritas Palermo

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Da giovedì scorso è partito il viaggio di "Avvenire" nella "pandemia sociale": l'inchiesta che racconta l'emergenza economica causata dal coronavirus. Città per città, territorio per territorio, il nostro impegno porta ai lettori la fotografia di un'Italia piegata dal Covid-19. Famiglie in difficoltà, imprese a rischio usura, vecchi e nuovi poveri aggrappati alla solidarietà dello Stato e delle molte associazioni cattoliche in prima linea. TUTTI GLI ARTICOLI

Chiusi i negozi e i ristoranti, vietati i mercatini, lasciati a casa i collaboratori domestici, tutto il sommerso è venuto a galla con la sua potenza di disperazione. Come Karìm, giovane nigeriano impiegato senza regole in un autolavaggio del centro; quando è scattato il lockdown il suo datore di lavoro, che gli consentiva di dormire in un angolo del locale, gli ha detto di lasciare la sua “casa” e lui si è ritrovato in mezzo a una strada in piena emergenza sanitaria. Come Vincenzo e Anna, una giovane coppia con un piccolo esercizio commerciale abusivo in una periferia popolosa vicino alla cittadella universitaria; lui ha dovuto abbassare la saracinesca per due mesi, lei in gravidanza aveva bisogno di ogni cosa per accogliere il bambino che stava per nascere. La parrocchia ha lanciato un Sos solidale ed è arrivato il corredino completo per il piccolo, mentre la spesa non è mai mancata nella loro cucina essenziale, ma dignitosa. Palermo prova a rialzarsi dalla devastazione che lo stop forzato ha provocato nelle fasce sociali più deboli, quelle già in situazione di povertà ovviamente, ma anche quelle che con espedienti e mille sacrifici erano riuscite sempre a tirare avanti, senza bussare mai alla porta della Caritas.

Ancora oggi qualcuno si vergogna, perché non è abituato a implorare cibo per sopravvivere. In fila, come altrove nell’Italia della pandemia sociale, per ricevere il pranzo da portare via sono tante persone che lì sono di casa, ma anche tante altre che sono arrivate col passaparola qualche mese fa, perché il loro frigorifero era rimasto improvvisamente vuoto. La Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali, le mense solidali rimaste aperte e le centinaia di associazioni del terzo settore in prima linea nel fronteggiare l’emergenza sociale hanno fatto diga all’esondazione della disperazione. In ciascuna delle mense San Carlo della Caritas, Don Orione, Boccone del Povero, Cappuccini adesso si preparano circa 80 pasti da asporto al giorno, ma nelle settimane di lockdownsi è arrivati a 180 sacchetti con vivande calde per ciascuna delle strutture. «All’inizio hanno bussato tutti i lavoratori irregolari, gli ambu-lanti, le colf e le badanti senza contratto – racconta il vicedirettore della Caritas, don Sergio Ciresi –. Poi hanno cominciato a chiedere aiuto anche i commercianti, sempre più in difficoltà, segnalati da Confcommercio e Confesercenti. Poi col progetto #Sostegnostraordinario, avviato dalla Banca popolare di Milano, in collaborazione con Banco Alimentare e Caritas Italiana, siamo riusciti a sostenere alcuni piccoli commercianti del centro storico e i cosiddetti “invisibili”, pagando affitti, utenze, ma distribuendo anche alimenti freschi. La solidarietà è stata immensa. Le statistiche di quanti abbiamo raggiunto sono ancora in corso di elaborazione, ma pensiamo tra le 6mila e le 8mila famiglie in difficoltà».

Grazie ai volontari e agli operatori della Caritas diocesana, è stata disinnescata la bomba sociale che all'inizio di marzo si temeva potesse scoppiare

Grazie ai volontari e agli operatori della Caritas diocesana, è stata disinnescata la bomba sociale che all'inizio di marzo si temeva potesse scoppiare - Caritas Palermo

Adesso si sta tornando lentamente alla normalità, dopo aver tirato un sospiro di sollievo per aver disinnescato quella bomba sociale che nei primi giorni di marzo si temeva potesse scoppiare, a giudicare da alcune immagini drammatiche e violente viste in qualche supermercato. Il Comune di Palermo ha messo a bando le risorse ricevute dalla Regione siciliana, circa 13 milioni di euro di fondi europei: serviranno per pagare affitti regolarmente registrati, bollette di gas, acqua e luce, per buoni spesa, per l’acquisto di bombole del gas. Con i 5,3 milioni di euro erogati dallo Stato erano state assistite 13.500 famiglie, pari a circa 50.000 persone, ma fornendo esclusivamente buoni-spesa. «Chi ha avuto difficoltà le ha superate – dice l’assessore comunale alla Cittadinanza solidale, Giuseppe Mattina –. Abbiamo visto molte situazioni di sommerso in cui è veramente difficile intervenire. Credo che dobbiamo usare la crisi per cambiare il paradigma di azione. Dovremmo portare avanti solo progetti personalizzati, usare risorse per formare operatori, dare competenze e dare strumenti di liberazione».

Si avverte un estremo bisogno di risposte politiche adeguate. Lo dice senza mezzi termini Daniele Marannano di Addiopizzo, che da anni sostiene le vittime delle estorsioni nel percorso di denuncia e riscatto. «Ciò che più ci preoccupa non è solo il rischio di recrudescenza dell’usura e del condizionamento mafioso di imprese in difficoltà e fasce sociali in stato di povertà – dice Marannano –. Rispetto a tale pericolo fino a pochi giorni fa i magistrati della procura di Palermo e le forze dell’ordine sono intervenuti liberando vittime di estorsione, pezzi di territorio e di economia dal controllo di Cosa nostra. Ciò che più ci inquieta è che i vuoti creati dall’azione repressiva possano, nel tempo, rimanere tali e senza risposte politiche, oggi più di ieri. Vuoti che in questo periodo drammatico diventano voragini, se da un lato diritti fondamentali come il lavoro, la salute e l’istruzione e dall’altro misure come l’accesso al credito, la cassa integrazione e il sussidio alimentare rimangono un miraggio. La nostra realtà oltre ad occuparsi di assistenza alle vittime di estorsione, è impegnata da diversi anni alla Kalsa, dove ci occupiamo, assieme ad altre realtà associative, di inclusione sociale e rigenerazione urbana. Siamo convinti che non sia più sufficiente sostenere chi si oppone al racket delle estorsioni, se non siamo in grado di rimuovere quelle sacche di degrado sociale e di povertà che spesso sono alla base di fenomeni di devianza, di illegalità diffusa e di criminalità organizzata. È un modo per ridurre lo spazio in cui possono attecchire fenomeni di illegalità diffusa e di criminalità organizzata che fanno leva sul bisogno di chi in questo momento è in difficoltà».

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