venerdì 7 dicembre 2018
È il 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese: «Un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi», «le diversità degli altri sono percepite come pericoli da cui difendersi»
«Italiani spaventati e incattiviti in un Paese che non cresce più»
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La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani” che “si sono resi disponibili a compiere un salto rischioso e dall'esito incerto, un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto così vicino” proprio perché “la scommessa era poi quella di spiccare il volo”. E questo anche a costo di “forzare gli equilibri politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche”, “quasi una ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite”.

È il 52° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato a Roma, a tracciare questa severa diagnosi.

Per il Censis si tratta di “una reazione pre-politica con profonde radici sociali che alimentano una sorta di sovranismo psichico” e che “talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore – diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”.

Il Rapporto individua nell’“assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive”, il “processo strutturale chiave” dell’attuale situazione. Non a caso “l’Italia è ormai il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto un condizione socio-economica migliore di quella dei genitori”. Il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che “le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente”, il 63,6% è convinto che nessuno ne difenda gli interessi e che bisogna pensarci da soli. “L’insopportazione degli altri – rileva il Censis – sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili”, e mentre si manifesta “un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi”, “le diversità degli altri sono percepite come pericoli da cui difendersi”. Il 52% (il 57% tra chi ha redditi bassi) è addirittura persuaso che si faccia di più per gli immigrati che per gli italiani. In generale, il giudizio negativo sull'immigrazione è nettamente superiore alla media europea. Rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista “perché scruta l’orizzonte con delusione e paura”, il 31,3% è incerto e solo il 33,1% è ottimista.

Nel 2017 il 12,4% degli occupati nella classe di età 20-29 anni era a rischio povertà. Si tratta di circa 330mila persone, 10mila in più rispetto all'anno precedente. L’incidenza del rischio risulta più accentuata tra gli occupati che svolgono il lavoro in forma autonoma o indipendente (18,1%) rispetto ai dipendenti (11,2%). Sono alcuni dei dati che emergono dal 52° Rapporto annuale del Censis, presentato oggi a Roma. Fra i 15 e i 24 anni un giovane su quattro è a rischio povertà, condizione che si riduce nella classe d’età 25-34 anni e soprattutto oltre i 65 anni (17,1%). Nella fascia d’età 25-34 anni i sottoccupati sono circa 163mila (il 4% degli occupati), pari al 23,5% dei tutti i sottoccupati.

Nella stessa classe d’età gli occupati in part-time “involontario” (cioè non scelto ma imposto per ragioni di riduzione dei costi) sono circa 675mila, vale a dire 16 su 100 giovani occupati. Più in generale, tra il 2000 e il 2017 in Italia il salario medio annuo è aumentato in termini reali solo dell’1,4%, pari a 400 euro annui, contro i 5.000 euro della Germania (+13,6%) e gli oltre 6.000 della Francia (+20,4%). Nello stesso arco di tempo gli occupati nella fascia 25-34 anni sono diminuiti del 27,3% (oltre un milione in mezzo in meno), quelli tra i 55 e i 64 anni sono aumentati del 72,8. Nel giro di un decennio si è passati da 236 a 99 giovani occupati ogni 100 anziani.

Il Rapporto mette in evidenza anche “segnali di allargamento della forbice sociale nei bilanci delle famiglie”. Negli ultimi cinque anni, infatti, “la capacità di spesa delle famiglie italiane ha mostrato un progresso”. Ma mentre la quota che dichiara un incremento rispetto all’anno precedente ha raggiunto il 31,9% del totale, c’è un 15% che ha visto ridurre la propria capacità di spesa.
Quel bisogno radicale di sicurezza che minaccia la società aperta. Il 63% degli italiani vede in modo negativo l'immigrazione da Paesi non comunitari (contro una media Ue del 52%) e il 45% anche da quelli comunitari (rispetto al 29% medio). I più ostili verso gli extracomunitari sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 63% che rappresentano un peso per il nostro sistema di welfare e solo il 37% sottolinea il loro impatto favorevole sull'economia. Per il 75% l'immigrazione aumenta il rischio di criminalità. Cosa attendersi per il futuro? Il 59,3% degli italiani è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.

Per un migrante entrare in Italia per lavoro è diventato praticamente impossibile: alla crisi economica ha corrisposto una riduzione degli ingressi previsti dal decreto flussi e la fine delle sanatorie. Il rischio è che un aumento dei controlli e un restringimento della normativa portino a una situazione nella quale il nostro Paese apparirà desiderabile solamente per una ridotta porzione di migranti: le persone più deboli dal punto di vista economico e sociale”.

La conferma viene dai dati relativi al livello di istruzione dei cittadini stranieri non comunitari che vivono nei diversi Paesi europei, in cui l’Italia si trova all'ultimo posto. Nella stessa direzione vanno anche le statistiche relative alla povertà. Le famiglie italiane in povertà assoluta nel 2017 erano il 6,9% del totale, le famiglie di soli stranieri il 29,2%, in pratica una su tre. “Ancora più preoccupanti – sottolinea il Censis – sono i dati relativi agli individui a rischio di povertà relativa”, che sono il 17,5% degli italiani (la media Ue è 15,5%), il 28,9% degli stranieri comunitari e il 41,5% dei non comunitari. Soltanto la Spagna ha un quadro peggiore di quello italiano.
Il Rapporto presenta anche una mappa dell’integrazione sulla base di un “ranking” che tiene conto di diversi fattori. La provincia italiana in cui l’integrazione sembra essersi realizzata “meglio e di più” è Vicenza. Seguono altre province del Nord e del Centro come Brescia, Pesaro e Urbino, Bergamo e Pistoia. Nelle prime venti non compare neanche una provincia del Mezzogiorno, quella in posizione più elevata è Teramo che si colloca al 33° posto.

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