giovedì 8 agosto 2019
Escluse correlazioni con nun uso prolungato anche nell'arco di 10 anni. Mancano però valutazioni accurate sulle patologia a più lenta crescita e sull'utilizzo già dall'infanzia
Archivio Ansa

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L'uso prolungato dei telefoni cellulari non sarebbe associato all’incremento dei tumori al cervello. È quanto emerge dal rapporto “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, diffuso ieri dall’Istituto superiore di sanità e curato da un team multidisciplinare composto da esperti di diverse agenzie, tra le quali Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea. Si tratta di un’analisi che ha passato in rassegna i numerosi studi pubblicati sul tema tra il 1998 e il 2017 e ha permesso di escludere un aumento del rischio di tumori intracranici, sia benigni che maligni, in relazione all’utilizzo di dispositivi mobili su un arco di dieci anni.

Il rapporto sembra quindi sconfessare quanto affermato nel 2011 dall’Iarc – l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro facente capo all’Organizzazione mondiale della Sanità – che aveva classificato le radiofrequenze emesse dai telefonini come possibili cancerogeni. Rispetto a quella valutazione, sottolineano infatti i ricercatori, le stime di rischio pubblicate ieri sono «più numerose e più precise». Senza contare che «i notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi di incidenza dei tumori cerebrali», i quali, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, «non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione».

Va tuttavia rilevato che i dati pubblicati ieri «non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori a più lenta crescita» e a quello correlato «all’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia». Sembrerebbe, però, smentita anche «l’ipotesi di un’associazione tra radiofrequenze emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile», suggerita da alcune analisi di correlazione geografica. Questo perché non appare confermata dal confronto tra «dati individuali e le stime di esposizione basate su modelli geospaziali di propagazione».

Nonostante l’uso di dispositivi per la telecomunicazione sia sempre più diffuso, dunque, questo non ha comportato maggiori rischi per la salute e il motivo sta anche nella qualità dei device. In buona sostanza, mentre gli impianti per le telecomunicazioni sono aumentati nel tempo, l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita grazie al passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. Ciò è vero in particolare per gli impianti wi-fi, caratterizzati da basse potenze e cicli di lavoro intermittenti. Peculiarità che permette a questi sistemi, installati in case e scuole, di dar luogo a livelli di radiofrequenza molto inferiori ai limiti vigenti. E poiché la potenza di emissione del telofonino durante l’uso è tanto minore quanto migliore è la copertura fornita dalla stazione radio base più vicina, l’esposizione si è abbassata con la diffusione di queste istallazioni.

Insomma, più le tecnologie migliorano meno sono dannose, e le cose vanno ancora meglio se si utilizza un auricolare o il vivavoce che danno luogo a ulteriori drastiche riduzioni. Infine, per quanto riguarda il 5g, entrato nel mirino di molte inchieste giornalistiche per i probabili effetti dannosi che potrebbe generare, i ricercatori assicurano che anche se le emittenti aumenteranno, avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente, comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti.

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