mercoledì 27 febbraio 2013
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«Guai a ripetere gli errori del 2006. E guai pensare e dire di aver vinto quando invece non si è andati oltre il pareggio». Stefano Ceccanti, ex senatore Pd e ascoltato costituzionalista vicino al Quirinale, si rivolge al suo partito: «Non sbagli come allora. Dimostri responsabilità, capisca che è il momento di unire, di confrontarsi, di cercare convergenze. Faccia come fece Alcide De Gasperi nel 1948».A che cosa pensa di preciso?Alla prima partita, quella che si aprirà prestissimo sulle presidenze delle Camere e che darà quindi il tono alla legislatura, l’imprinting indelebile. Lo dico chiaro: guai se una parte pensasse di prendere sia la Camera sia il Senato. Il Pd si autolimiti e ragioni con tutti, senza pregiudiziali. Li responsabilizzi, non dia alibi a nessuno nel sottrarsi. E apra un confronto alto su tutte le postazioni istituzionali. A quali postazioni pensa?Alle due presidenze delle Camere e poi al Quirinale. Il quadro non può essere monocolore e anche quando vi è la legittima aspettativa della minoranza più forte di esprimere candidati, si faccia una scelta che tenga comunque conto il più possibile anche delle volontà altrui. Il Paese è uscito diviso come non mai da questo voto, al di là di chi ha preso seggi in più o in meno, ed è zavorrato da anni di contrapposizioni inconcludenti. Ora il Pd può dare un segnale importante.Crede che lo farà?Questa sarà la prima prova di responsabilità per tutti, sia per chi è arrivato primo, sia per chi ha preso comunque un numero significativo di voti. Sul medio-lungo termine – l’unico su cui si deve ragionare – l’altruismo, il self restraint è doveroso e, peraltro, credo persino pagante. Il 2006 l’abbiamo pagato caro nel 2008. L’idea di puntellare le proprie debolezze occupando spazi in modo sproporzionato è il contrario della saggezza. Parlava di De Gasperi...Dopo la vittoria del 18 aprile 1948 col 48,5 per cento dei voti sia nella formazione di un governo plurale sia nella gestione dell’elezione al Quirinale che andò al liberale Einaudi sia della Presidenza del Senato al Psdi Bonomi.La gente si interroga sul Senato paralizzato, sull’ingovernabilità. E si chiede: c’è rischio di tornare subito a votare?No, almeno non ora. Ci sono dei vincoli oggettivi: a causa del semestre bianco non si possono sciogliere anticipatamente le Camere prima di metà maggio e, visto che devono passare comunque almeno 45 giorni per il voto, non mi sembra che sia ipotizzabile un voto prima dell’autunno.Non crede che comunque un nuovo voto sarebbe un dramma per l’Italia?Non sarebbe un dramma, ma se non cambiamo le regole risolverebbe poco. Se non poniamo le condizioni per un voto decisivo il rischio è di trovarci avvitati in un peggioramento della situazione. Se il voto non fosse percepito come realmente decisivo potrebbero persino crescere le spinte a dare voti di protesta, come a Weimar dove si votava ogni sei mesi. Chiedo una previsione al costituzionalista: che succederà?Vedo due soluzioni: o un governo di minoranza, cioè di maggioranza relativa, tollerato da altri o un governo tecnico (un governo di nessuno) che nasca sul programma a partire dalle convergenze possibili. La prima soluzione è la più problematica perché richiederebbe una scelta esplicita di alcune delle minoranze di far uscire i propri senatori al momento della fiducia, dato che in Senato l’astensione del voto equivale al voto contrario. La seconda è difficile, ma forse meno problematica. In ogni caso se le leadership politiche non rimuovono le pregiudiziali non si va da nessuna parte. Fu possibile negli anni della Guerra Fredda. Perché non anche oggi? Per fortuna c’è una certezza: la saggezza del capo dello Stato.
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