domenica 17 ottobre 2010
Un anno fa l’arresto, poi la morte. «Troppe bugie e tanta ipocrisia, unico conforto è la fede». Per i parenti grave è stata la mancanza di assunzione di responsabilità, non tanto dei singoli, quanto delle istituzioni che li hanno protetti. E ricordano che si parlò addirittura di un decesso naturale.
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«Queste giornate per noi sono particolarmente drammatiche. In queste ore stava cominciando tutto e mio fratello Stefano subiva il pestaggio che l’ha portato alla morte. Ma ora l’accusa parla di "lesioni lievi"». Ilaria Cucchi ripercorre all’indietro i dodici mesi che hanno sconvolto la vita della sua famiglia. «Sì, è trascorso un anno, ma in realtà quando sei così lontano dalla verità, fatichi a comprendere e a elaborare quello che è successo. Sembra quasi irreale. Quando la verità ti viene negata, diventa tutto più complicato». Stefano, suo fratello, viene arrestato un anno fa, la notte tra il 15 e il 16 ottobre. Sei giorni dopo, il 22, muore al Pertini. Per voi è stato un anno durissimo. Cosa vi spinge a continuare?Sicuramente l’indignazione per tutto quello che è stato detto sulla sua morte, tutta l’ipocrisia sulle cause del decesso. Invece delle risposte dovute, è stato gettato fango su una persona che non poteva difendersi. C’è chi ha parlato di omicidio di Stato, visto che Stefano, privato della libertà, era affidato alla polizia penitenziaria e poi ai medici del reparto di medicina protetta del Pertini. Avete ancora fiducia nello Stato?Continueremo ad averla nel momento in cui lo Stato ammetterà che al proprio interno qualcosa non ha funzionato. Ora sento tante bugie: certo, c’è stata la responsabilità gravissima dei medici che l’hanno abbandonato, ma non si può negare quanto successo prima.Contestate l’impianto accusatorio che per i tre agenti di polizia penitenziaria indagati parla di «lesioni lievi».Come si può parlare di lesioni lievi quando dalle lastre si vede chiaramente, tra l’altro, un frammento staccato della vertebra L3 che penetra nel midollo? Basta un po’ di logica, lo capisco anch’io che non sono un medico. Mi sembra una grande ipocrisia. Mi auguro comunque che i pm, con la stessa serietà con cui hanno lavorato finora, siano in grado di tornare sui propri passi per darci la verità. Che giustizia può esserci se resta così lontana dalla realtà dei fatti che hanno portato alla morte mio fratello? Non la voglio una giustizia così. Dopodomani, martedì, il giudice per le indagini preliminari dovrebbe rispondere alla vostra richiesta di una nuova perizia.Spero arrivi una risposta positiva all’istanza dei nostri avvocati, perché l’attuale perizia commissionata dalla procura, sulla quale si fondano questi assurdi capi di imputazione, è totalmente lontana dalla verità. Uno dei vostri crucci più profondi è che Stefano è morto da solo, credendo di essere abbandonato anche dai familiari.Sicuramente Stefano può averlo pensato. Dubito che qualcuno gli abbia detto che i suoi genitori erano fuori da quella porta a chiedere sue notizie.Negli ultimi momenti ha chiesto una Bibbia. La fede ha aiutato lui e voi?La fede è l’unico conforto quando umanamente non riesci ad avere le risposte che chiedi. L’ho scritto giorni fa in una lettera a papa Benedetto XVI. Ma anche al Santo Padre ho detto che ho bisogno di risposte su questa terra. Perché mi aiutino a dare un senso a quello che è successo e non debba succedere mai più a nessun altro. Lo Stato si assuma le sue responsabilità. Stefano non è stato un caso del tutto isolato?No. Basta pensare a Federico Aldovrandi (morto a settembre 2005 per le percosse durante l’arresto, un omicidio colposo per il quale quattro poliziotti sono stati condannati a luglio 2009, ndr) Il suo caso è stato importante per noi, perché ci ha dato la forza di affrontare questa vicenda. Il problema è che purtroppo molti di questi casi non vengono alla luce, perché tante famiglie non sono in grado di farsi carico di una battaglia e si chiudono nel loro dolore. Ci si scoraggia a combattere contro chi nega l’evidenza. All’inizio per Stefano si è parlato di morte naturale, poi di caduta accidentale. Io l’ho visto il corpo di mio fratello. Eppure, hanno avuto il coraggio di dire cose del genere. Ma la cosa più grave è stata la mancanza di assunzione di responsabilità: non tanto da parte dei singoli, quanto delle istituzioni che li hanno protetti. È allora che abbiamo preso la decisione, dolorisissima, di pubblicare le foto della sua salma. Lì c’è stata la vera presa di coscienza, altrimenti il caso sarebbe rimasto nel silenzio, come alcuni speravano.
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