mercoledì 17 luglio 2019
Con l’accusa di depistaggio rinviati a giudizio dal gup anche elementi di vertice dei Carabinieri di Roma all’epoca dei fatti. Chiamato in causa anche un generale, già comandante provinciale
Una foto d'archivio di Stefano Cucchi (Ansa)

Una foto d'archivio di Stefano Cucchi (Ansa)

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Altri otto carabinieri sono stati rinviati a giudizio per il caso Cucchi. Tra di loro anche alcuni elementi di vertice dell’Arma a Roma all’epoca dei fatti. L’accusa è di aver depistato le indagini. Si apre così il quarto filone della vicenda processuale per la morte del geometra romano, avvenuta il 22 ottobre di dieci anni fa nel reparto protetto dell’ospedale Pertini di Roma.

Il gup Antonella Minunni ha preso ieri la decisione dopo aver sentito l’imputato con il più alto grado nell’Arma, il generale Alessandro Casarsa, oggi in pensione, ma nel 2009 comandante del Gruppo Roma. Questi ha chiamato in causa, pur senza nominarlo, il generale Vittorio Tomasone, suo superiore del tempo in qualità di comandante provinciale. «Non ho mai avuto contatti con i magistrati né con i medici legali. Le uniche informazioni mediche relative a Stefano Cucchi le ho ricevute il 30 ottobre 2009, quando sono andato al Comando provinciale», ha detto Casarsa in una dichiarazione spontanea davanti al gup. «La mattina il Comando Provinciale ha voluto una riunione per guardare in faccia tutti i protagonisti della vicenda per ricostruire i fatti».

La sorella di Cucchi, Ilaria, parla di «momento storico». E ringrazia il carabiniere Riccardo Casamassima, il superteste le cui dichiarazioni fecero riaprire il caso nel 2016. Poi commenta le parole di Casarsa: «Le note mediche presenti nella sua relazione del 30 ottobre e che anticiperanno le conclusioni di esperti medici legali che ancora dovevano essere nominati sono frutto di informazioni avute quel pomeriggio dal comandante Tomasone. Insomma così decisero a tavolino di che cosa doveva esser morto Stefano. Tutto questo sulla nostra testa. Oggi qualcuno sarà costretto a risponderne in un’aula di giustizia», conclude Cucchi.

Ad andare a processo con Casarsa - la prima udienza è stata fissata per il 12 novembre - altri sette militari facenti parte della catena di comando che secondo gli inquirenti avrebbe orchestrato il tentativo di insabbiamento della verità sulle cause della morte di Cucchi. Si tratta del colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo di Roma, accusato di omessa denuncia, Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti tenente colonnello capoufficio del comando del Gruppo Roma, Luciano Soligo, già comandante della Compagnia Montesacro, Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, nella quale era in servizio un altro degli imputati, Francesco Di Sano. Con loro Tiziano Testarmata, già comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo e il carabiniere Luca De Cianni. Nel procedimento l’Arma dei carabinieri si è costituita parte lesa.

Il nuovo processo segue quello a carico di alcuni agenti della penitenziaria (tutti assolti). Mentre sono in corso quello di secondo grado ai medici del "Pertini" e quello davanti alla prima Corte d’Assise che vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Proprio nel corso di questo procedimento è emersa, grazie anche al racconto di uno degli imputati, il carabiniere Francesco Tedesco, la verità relativa al pestaggio di Cucchi e alla falsificazione di una serie di documenti sul suo stato di salute dopo l’arresto.

Per l’accusa i depistaggi partirono proprio da Casarsa e a cascata furono messi in atto dagli altri secondo i vari ruoli di competenza. Per i pm sei indagati «avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi», arrestato dai carabinieri della stazione Appia per detenzione di stupefacenti e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Per i magistrati di piazzale Clodio il falso fu confezionato «con l’aggravante di volere procurare l’impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso». In una seconda nota, con la data truccata del 26 ottobre, sempre secondo la procura, si attestava falsamente che Cucchi riferiva di essere dolorante per il freddo e la magrezza, secondo i carabinieri. Le accuse tirano in ballo anche il colonnello Sabatino il quale, pur avendo accertato che erano false le due annotazioni «omise di presentare una denuncia».

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