mercoledì 6 gennaio 2021
Tutti, dalla Diocesi ai sindacati fino al Terzo settore, hanno contestato il principio-slogan "Prima gli italiani" che ha ispirato il testo.
Alan Fabbri, sindaco di Ferrara, in una foto d'archivio

Alan Fabbri, sindaco di Ferrara, in una foto d'archivio - Ansa

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È durata solo un giorno l’esultanza del sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, per la nuova graduatoria di assegnazione delle case popolari in città. Il giorno dopo, infatti, un coro unanime di critiche ha messo nel mirino il primo cittadino leghista. Tutti, dalla Diocesi ai sindacati fino al Terzo settore, hanno contestato il principio-slogan "Prima gli italiani" che ha ispirato il testo.

Lunedì sera è stata definita la nuova graduatoria, la prima formulata in base ai criteri di assegnazione aggiornati dal nuovo regolamento comunale, elaborato lo scorso marzo: per la prima volta nella storia della città di Ferrara, si pone la residenzialità storica dei richiedenti come elemento decisivo nella consegna degli appartamenti.

Le prime 157 posizioni della graduatoria di assegnazione delle case popolari risultano, di conseguenza, occupate da famiglie italiane, sulle 259 domande finora accolte in via definitiva e su un totale di 746 raccolte. «Grazie all’introduzione della residenzialità storica – aveva dichiarato il primo cittadino lunedì sera – abbiamo ristabilito un’equità sociale». Il nuovo regolamento inserisce anche l’assenza di proprietà immobiliare nel territorio nazionale o all’estero come criteri primari.

Durissima la nota diramata dall’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio già nella serata di lunedì. «La speranza è che nessuna famiglia che ne aveva diritto sia stata esclusa per ragioni di razza e nazionalità» aveva detto il vescovo Gian Carlo Perego. «Se fosse così il nuovo bando non aiuta a costruire la città di domani, che non potrà che vedere convivere persone di diversa provenienza».

Il sindaco ha reagito a questa nota parlando di «grave pregiudizio politico nei confronti della nostra amministrazione. Con il nuovo regolamento riusciremo finalmente a dare una risposta a cittadini in difficoltà e a categorie fino ad ora penalizzate nell’accesso alla casa popolare, a partire proprio dalle persone più avanti in età e dagli anziani».

Immediata la replica di monsignor Perego. «Non è la prima volta che gli amministratori e i politici leggono come "pregiudizio politico" e "illazioni" un intervento fondato sulle parole del magistero sociale della Chiesa e sul diritto costituzionale di ogni famiglia ad avere una casa. La "residenza storica", come principio dirimente, non può essere in grado – da sola – di tutelare il diritto ad avere una casa e un alloggio, come si è già pronunciata la Corte Costituzionale. Lo stesso vale anche per altre condizioni – come ad esempio non avere un alloggio in patria (il bando intende forse una capanna...?) – che oltre ad essere impossibili da dimostrare, sarebbero deleterie sia per tutelare i nostri emigranti all’estero che per garantire il diritto di ritornare nel proprio Paese. In ordine all’approvazione di questo bando forse sarebbe stato utile dialogare con tutte le parti sociali».

È quel che chiedono in effetti gli altri soggetti della realtà ferrarese. «Al di là dei proclami, di equità sociale non vi è traccia» è il commento ad esempio di Maurizio Ravani, segretario provinciale di Sunia Cgil Ferrara. «La situazione di bisogno non è l’elemento primario, come dovrebbe essere, per l’assegnazione degli alloggi». Il nuovo regolamento «penalizza fortemente anche i giovani» dice il sindacalista.

Dal mondo dell’associazionismo, arriva la voce di "Cittadini del mondo". «Il criterio della residenza non tiene conto dei bisogni familiari e delle forme di povertà accertate». Non solo: punisce «chi ha morosità pregresse con l’amministrazione», come appunto famiglie in difficoltà. Infine, per l’associazione è ingiusto che «solo i cittadini stranieri debbano dimostrare con documenti autenticati di non possedere immobili nel Paese di provenienza. Regola che, invece, non vale per gli italiani».

La giunta Fabbri non è nuova a scelte politiche discriminatorie: nei mesi scorsi due sentenze del Tribunale cittadino avevano definito «condotta discriminatoria» la delibera del Comune che fissava come criteri per ottenere i buoni spesa Covid, il requisito del permesso di soggiorno per gli stranieri extra Ue e una priorità a favore dei cittadini italiani.

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