martedì 5 gennaio 2010
Ci sono responsabilità umane all'origine del crollo che uccise 8 studenti lo scorso 6 apirle: lo si sostiene nella perizia consegnata ai magistrati. Anche la scala di emergenza non era attaccata alla struttura, mentre le travi e gli altri pilastri del piano terra erano intrisi di umidità.
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Un pilastro mancante, il calcestruzzo scadente, la cattiva manutenzione. E una superficialità infinita. Poi la botta delle 3.32, violenta e annunciata, che ha messo a nudo tutti i punti deboli di quel palazzo costruito nel 1965 venuto giù come un castello di carte, ingoiando tra le macerie otto giovani universitari. A L’Aquila il dolore si fa da parte per far spazio alla tecnica: quella che consente ai periti della procura di stabilire ipotesi di responsabilità per la morte di otto persone rimaste il 6 aprile sotto le macerie dell’ala nord della Casa dello Studente. Le prime indiscrezioni dopo la chiusura delle indagini preliminari, anticipate ieri dal quotidiano locale Il Centro, attribuiscono ad un errore umano il crollo della residenza universitaria, una tragedia insomma evitabile. Ci sarebbero stati, infatti, errori ed omissioni sia in fase di realizzazione del palazzo in via XX Settembre che in quelle delle successive ristrutturazioni che avrebbero interessato l’edificio dal 1993 al 2003. «L’ala nord collassata – recitano gli stralci di perizia pubblicati sul sito del giornale – non aveva un pilastro, presente invece in altri punti corrispondenti dell’edificio, che invece hanno retto». Secondo i periti della procura della Repubblica, in sostanza, non sarebbe stata la scossa, a far crollare l’edificio di cinque piani, nato come deposito farmaceutico e poi adibito nel 1980 a residenza universitaria. Le accuse affondano le radici in quel documento di centosessanta pagine firmato dagli ingegneri Francesco Benedettini e Antonello Salvatori, spina dorsale di un’inchiesta a cui si chiede di mettere insieme fatti ed omissioni che attraversano 44 anni.La prima concausa, infatti, sarebbe proprio la mancanza di un pilastro portante nel progetto del 1965 presente invece nelle altre due ali della struttura rimaste in piedi. Un’ipotesi che, unita a numerose negligenze nel corso dei decenni, giustificherebbe tra gli 11 indagati (più quattro deceduti) anche figure professionali legate all’edificazione originaria del palazzo.Nel linguaggio spigoloso e rigoroso dei tecnici nella perizia, ora nelle mani della magistratura aquilana, i due ingegneri evidenziano altri cinque motivi per cui una delle tre parti dello studentato sarebbe venuta giù. Ad essere messa sotto accusa ancora la progettazione datata metà anni ’60. «I documenti resi disponibili – si legge nella relazione – indicano una progettazione carente nei contenuti e caratterizzata da errori e omissioni. Tra le altre cose il progettista non prevede un sistema resistente alle azioni sismiche disposto in maniera da applicare a tutte le direzioni come prevista dalla normativa vigente all’epoca». In poche parole quel palazzo non rispettava alcun criterio antisismico. Ma le mancanze sarebbero anche a carico dell’impresa esecutrice del disegno progettuale dato che «non ha disposto le staffe di armatura dei pilastri all’interno dei nodi della struttura secondo quanto previsto dal progetto». In più il crollo sarebbe stato causato anche dalla fragilità del calcestruzzo; il materiale usato, si legge ancora, «appare fortemente disomogeneo da potersi definire scadente e in complesso di qualità inferiore rispetto alle specifiche progettuali».Ma i periti dell’accusa puntano il dito anche su quanti, in decenni di interventi sull’edificio, non hanno avuto cura di intervenire sulla struttura portante, magari ricalcolando la resistenza dopo il posizionamento dei pesanti pannelli solari e del serbatoio d’acqua sul tetto dell’ala nord crollata, così come delle tramezzature che hanno trasformato il magazzino in dormitorio. «Dopo la realizzazione dell’edificio – osservano infatti – nessuno ha mai chiesto o fatto lavori di adeguamento funzionale che riguardassero le strutture, anche quando cambiava la destinazione di uso da civile abitazione a residenza universitaria». Infine, sempre secondo gli esperti, «ci sono danni alle strutture causati da cattiva posa in opera degli impianti termici, idrici ed elettrici», conseguenti anch’essi al cambio di destinazione d’uso dell’immobile. Questo atteggiamento negligente, insomma concludono, «ha fatto preferire costantemente dei lavori di cura estetico funzionale dell’edificio mentre non sono mai stati rivolti ad assicurare una costruzione solida e rispondente alle norme». Dalla procura e dai periti un invito alla prudenza, ma nessuna smentita delle informazioni trapelate.
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