martedì 28 gennaio 2020
Il direttore Gualzetti: «Ma è solo la punta dell’iceberg di un problema devastante». I giocatori patologici? Più spesso uomini che donne, fra i 50 e i 70 anni d’età
Azzardo pericoloso. Slot machine

Azzardo pericoloso. Slot machine - (Archivio Avvenire)

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«Questi dati mostrano solo la punta dell’iceberg. Ma bastano a far capire quanto gravi possano essere le conseguenze dell’azzardo patologico per i giocatori e le loro famiglie. A partire dalla riduzione in povertà di chi, magari, povero non era». Così Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, commenta gli esiti della ricerca sul «Gioco d’azzardo problematico» realizzata sui dati del biennio 2017-2018 raccolti in 115 dei 390 centri d’ascolto presenti in diocesi di Milano.

L’«emerso»

Ebbene: 46 centri d’ascolto – sui 115 che hanno risposto al questionario inviato dalla Caritas – «hanno complessivamente incontrato 162 persone che nel corso dei colloqui hanno esplicitato di avere problemi legati al gioco d’azzardo, proprio o di altri, anche se questi non rappresentavano la richiesta principale per la quale si erano presentati al centro», si legge nella ricerca svolta dall’Area dipendenze di Caritas Ambrosiana con l’Area Centri d’ascolto e l’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse. Le loro caratteristiche? Più spesso uomini che donne, fra i 50 e i 70 anni d’età o, in seconda battuta, fra i 30 e i 49. A segnalare il problema è più spesso il coniuge che il giocatore stesso. E il maggior numero di casi si è riscontrato nella Zona pastorale di Milano.

Problemi e risposte

I problemi più spesso segnalati dai centri d’ascolto in relazione al «gioco problematico»? Quelli economici, fino all’indebitamento. Ma anche le difficoltà nelle relazioni e i problemi legali, fino ad arrivare alla dipendenza da alcol o droghe. Le risposte date dagli stessi centri? In primo luogo: la fornitura di generi di prima necessità. Quindi: l’invito ai servizi sociali, ai servizi specifici per le dipendenze, a quelli per l’indebitamento, ai gruppi di auto-aiuto. E in alcuni casi allo sportello diocesano per familiari di giocatori «problematici» che Caritas gestisce dal 2015.

Un numero per ripartire

«Lo sportello – che nel tempo ha ricevuto finanziamenti nell’ambito dei progetti regionali sulla prevenzione e contrasto al gioco d’azzardo patologico, l’ultimo dei quali negli scorsi mesi – offre ai familiari ascolto e supporto educativo, psicologico, legale, economico-finanziario ed è realizzato con la Fondazione San Bernardino e l’Ordine degli Avvocati di Milano – ricorda un comunicato Caritas –. L’accesso è gratuito. Il primo colloquio va fissato chiamando l’Area dipendenze allo 02.76037261».

Il «sommerso»

La ricerca, inoltre, ha stimato in circa 200 le persone che si sono rivolte ai centri d’ascolto per chiedere aiuto, senza che dai colloqui emergesse esplicitamente il problema dell’azzardo – magari nascosto per vergogna o imbarazzo – ma che operatori e volontari hanno percepito essere fra le cause delle difficoltà personali o familiari. Una circostanza segnalata da 80 centri su 115.

L’impatto dell’online

Ad aprire la via alla sempre maggiore diffusione del gioco patologico «non è stata solo la moltiplicazione esponenziale dell’offerta di luoghi in cui giocare, alla quale abbiamo assistito negli ultimi vent’anni, ma anche l’introduzione dell’azzardo online che consente di scommettere a tutte le ore, ovunque, in modo solitario», sottolinea Laura Rancilio, responsabile dell’Area dipendenze di Caritas Ambrosiana. Si apre così la via ai «comportamenti compulsivi». Di persone a forte rischio di indebitamento. E di usura.

Prima che sia troppo tardi

L’azzardopatia azzera patrimoni e risparmi, fa perdere il lavoro, manda in frantumi matrimoni e famiglie. «E spinge alla disperazione – conclude Gualzetti –. Che oltre 300 famiglie, senza storie di grave povertà alle spalle, abbiano dovuto chiedere aiuto ai centri d’ascolto, dimostra quanto sia devastante l’impatto dell’azzardo sulla vita delle persone. Un prezzo troppo alto da pagare, su cui da anni chiediamo una seria riflessione pubblica. Occorre moltiplicare gli sforzi per far emergere il fenomeno, "intercettare" le vittime prima che la situazione sia troppo compromessa, e avviare percorsi di prevenzione, accompagnamento e cura».

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