mercoledì 13 marzo 2013
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Un segnale arriva dal Parlamento. I partiti hanno iniziato a parlarsi. Una delegazione del Movimento 5 Stelle è entrata nelle stanze del Pd. Poi lo stesso Pd ha incontrato il Pdl. È una novità da non sottovalutare, un passaggio dietro cui prende forma la strategia per provare a superare lo stallo degli ultimi giorni: ora tutti sembrano decisi a usare il risiko delle cariche istituzionali per capire cosa fare poi sul governo. È vero, si cammina su un campo minato, ma almeno si cammina. E a settanta ore dai primi voti sulle presidenze di Camera e Senato anche il pattuglione di Grillo è entrato in partita. Certo M5S non appoggerà mai un esecutivo Bersani, ma tra il "no" a questo ipotetico governo di minoranza e il caos degli ultimi giorni c’è spazio per un’infinità di soluzioni intermedie.La partita delle cariche istituzionali serve insomma a mettere le carte sul tavolo. Anche a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere con una nota preparata dalla stanza del San Raffaele detta la sua linea sul nodo decisivo: la Presidenza della Repubblica. Dice di non volere un candidato di sinistra. Ma non dice che quel "no" è soprattutto un "no" a Romano Prodi. E non dice nemmeno che sarebbe una «follia» se il Pd pensasse di tagliar fuori il Pdl dalla partita Quirinale. Non lo dice, ma lo teme: Pd e Sel con Monti avrebbero i numeri per eleggere (senza grillini e berlusconiani) il futuro inquilino del Colle.Sono ore dove il quadro resta vago. E dove si segnala l’ennesima mossa di Giorgio Napolitano per svelenire il clima e per tentare di riannodare le fila di un dialogo impossibile. Il capo dello Stato all’indomani della marcia del Pdl sul tribunale di Milano riceve al Colle Alfano e poi convoca i vertici del Csm. L’appello alle due parti è netto: responsabilità, evitiamo incognite e rischi. Berlusconi capisce, apprezza e il rischio Aventino sembra per ora scongiurato. E, intanto, anche nel Pd si affaccia timidamente una voglia di dialogo. Un’inattesa attenzione al Pdl e a M5S nella partita delle Presidenze potrebbe essere il preludio a quel confronto «più alto» che serve al Paese.
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