mercoledì 20 gennaio 2010
Piccole rinunce, progetti e campagne fanno scoprire ai detenuti altruismo e condivisione.
COMMENTA E CONDIVIDI
VOLTERRADalle "Cene galeotte" aiuti al Terzo mondo Si tavoli eleganti tovaglie rosse, candele accese, stoviglie di ceramica, sottopiatti e bicchieri di vetro. Cucina raffinata, servizio puntuale e preciso. Unico dettaglio, apparentemente, stonato: le posate di plastica. Si perché in carcere, per la precisione in una cappella sconsacrata del penitenziario di Volterra (ricavato in una splendida fortezza medicea, ndr), quelle in metallo non possono entrare per ovvi motivi di sicurezza. Benvenuti alle "Cene galeotte", iniziativa di solidarietà nata nel 2006 da un’idea della direttrice Maria Grazia Giampiccolo.  «Il ricavato delle serate viene interamente devoluto ai diversi progetti di solidarietà della campagna "Il cuore si scioglie" - spiega la direttrice -. Ogni serata è dedicata a un progetto specifico, che verrà realizzato in un Paese diverso». Così, grazie al lavoro di questi detenuti cuochi, camerieri e sommelier è possibile costruire scuole e centri di accoglienza, garantire cure mediche, creare opportunità di lavoro e promuovere l’adozione e l’affidamento a distanza dei bambini in otto Paesi del Sud del mondo: Brasile, Burkina Faso, Camerun, Filippine, India, Libano, Palestina e Perù. Durante la scorsa edizione sono stati raccolti 25mila euro. «L’iniziativa è nata in collaborazione con Slow Food - aggiunge Maria Grazia Giampiccolo -. Inizialmente abbiamo sviluppato laboratori del gusto, poi le serate a tema riservate ai soci e su invito». Nel 2007, con l’ingresso di Unicoop Firenze nel progetto, la portata dell’iniziativa è cresciuta arrivando a coinvolgere un centinaio di persone per ogni serata.Una trentina i detenuti al lavoro durane gli otto appuntamenti in programma per l’edizione 2009/2010: alcuni intenti a servire tra i tavoli, altri impegnati ai fornelli, sotto la guida di chef prestigiosi che coordinano il lavoro e studiano i menù: da Giovanni Mancino, chef ristorante dell’Hotel Principe di Piemonte di Viareggio, a Fabio Picchi del "Cibreo" di Firenze. «Alla fine della serata, che arriva a conclusione di due giorni di lavoro, gli chef sono entusiasti di questa esperienza - spiega la direttrice -. E anche per i detenuti è un momento formativo importante, perché permette loro di acquisire una professionalità». Sono già 11 infatti gli ex detenuti che hanno trovato lavoro nei ristoranti di Volterra .«A ogni serata partecipano circa 110/120 persone - aggiunge l’ispettore Paolo Iantosca -. Complessivamente, in queste quattro edizioni, abbiamo coinvolto 2.000/2.500 persone». Menù a prezzo fisso (35 euro a testa, vino compreso) per una cena d’alto livello «che in alcuni casi ha avuto risultati eccezionali», sottolinea Iantosca. Basta infatti scorrere i menù per farsi venire l’acquolina in bocca: bocconcini di salmone affumicato con mele verdi e arancio, prosciutto di cinta senese e bruschette, carré di maiale farcito alle prugne con cime di rapa all’aglio e peperoncino, bavarese ai marroni con scaglie di cioccolato amaro. Purtroppo però le quattro cene ancora in programma (22 gennaio, 19 febbraio, 26 marzo e 23 aprile) hanno già fatto registrare il tutto esaurito. Non resta quindi che prenotarsi per l’edizione 2010/2011.MILANOMani tese per aiutare i carcerati africani«Ma perché proprio a noi venite a chiederci i soldi. Noi non abbiamo niente». Già, perché chiedere proprio ai detenuti di sostenere una campagna in favore di chi si trova dietro le sbarre di un penitenziario africano? «Perché nessuno, meglio di loro, può capire», spiega Stefania Tallei, della Comunità di Sant’Egidio. Da luglio 2009 fa la spola tra le diverse carceri per presentare la campagna "Liberare i prigionieri" e chiedere ai detenuti un piccolo contributo: un euro per acquistare cinque pezzi di sapone o una stuoia, 2 e 50 per una zanzariera, 3 per i medicinali di prima necessità. Mentre 30/50 euro bastano per pagare la cauzione di un detenuto che ha scontato la pena.Perché nessuno è così povero da non poter aiutare. «Quando spieghiamo che con piccole cifre possono contribuire in modo significativo per migliorare la qualità della vita di un detenuto capiscono il senso della nostra iniziativa - spiega Stefania -. Si rendono conto del perché ci rivolgiamo proprio a loro». Perché basta veramente poco per salvare la vita di un’altra persona.Le condizioni di vita nelle carceri del Continente Nero infatti sono spaventose: mancano cibo e medicinali, i detenuti sono costretti a dormire sulla nuda terra, sono privi di assistenza legale. Una realtà che gli operatori di Sant’Egidio conoscono molto bene dal momento che la comunità  è presente in 70 carceri di 15 Paesi africani (dal Madagascar al Rwanda, dalla Guinea Conakry al Kenya) ed è riuscita a raggiungere circa 40mila detenuti.  «La campagna "Liberate i prigionieri" - sottolinea Paolo Bertona, della Comunità di San’Egidio - agisce su due fronti. Da un lato con aiuti di prima necessità: cibo, farmaci, stuoie e zanzariere. Dall’altro fornendo tutela legale a quanti non possono permettersi un avvocato o che, al termine della pena, restano in carcere perché non hanno i soldi per pagarsi la cauzione». Succede spesso che, al termine di una pena di nove mesi per il furto di un pollo, si resti in carcere per un anno e mezzo se non si hanno i soldi per pagare la tassa prevista per la liberazione. «Abbiamo fatto più di 40 incontri in 30 carceri: da Rebibbia a Secondigliano, da Marassi a Bollate - racconta Stefania Tallei - e abbiamo preso contatto con circa duemila detenuti». Un euro dopo l’altro, finora ne sono stati raccolti circa 1.500, ma «ci si mette un po’ a far arrivare i soldi, la burocrazia è complicata», spiega Stefania. I responsabili del progetto possono poi contare sull’impatto delle testimonianze dei detenuti africani che si trovano nelle nostre carceri. «A Bollate dei ragazzi senegalesi hanno descritto ai loro compagni quelle che sono le condizioni di vita nei penitenziari africani - racconta Paolo Bertona -. È stato molto toccante».    E dal «perché proprio noi», si passa in poche ore al «chi meglio di noi». «Ovviamente la cifra raccolta è quella relativa alla piccola goccia di che può formare un buon mare - hanno scritto i detenuti di Regina Coeli nella lettera che accompagna la loro donazione - con la speranza che il moto ondoso vada aumentando. Spesso, condividendo una condizione di privazione e dolore, si comprendono meglio alcune dinamiche. Renderci utili ed essere solidali con la vostra campagna ci è sembrato doveroso».La colletta per l'adozione a duistanzaMarianna ha quattro anni e tanti "papà" adottivi. Anche se lei, forse, non lo sa. Vive nel Quixada, una regione povera nel Nordest del Brasile e i suoi genitori sono contadini che non hanno mezzi sufficienti a garantire tutte le cure di cui necessita una bimba della sua età. Per sostenerla per un anno intero attraverso un progetto di adozione a distanza, bastano poco più di quattrocento euro. Soldi che sono stati raccolti dai detenuti della casa circondariale di Montorio in provincia di Verona. «Quello che ripetiamo spesso - spiega don Maurizio Saccoman, uno dei cappellani del carcere - è che ogni persona, anche la più povera, può donare qualcosa». E i suoi appelli non cadono mai nel vuoto, malgrado la situazione difficile e di grande povertà in cui si trovano a vivere molti degli 860 detenuti del carcere più grande del triveneto. Il sessanta per cento della popolazione detenuta è straniera, non ha contatti con i familiari e quindi non può ricevere un sostegno dall’esterno. «Cerchiamo di aiutarli - spiega don Maurizio - anche fornendo piccole cose come il sapone o una maglietta pulita per dare loro un minimo di dignità». Lo scorso Natale, don Maurizio ha proposto ai suoi detenuti un progetto di adozione a distanza promosso dalla fondazione Regina Pacis. «Molti detenuti hanno i figli lontani. Per questo ci sembrava giusto proporre loro di indirizzare questo piccolo gesto di solidarietà a un bambino di un Paese povero», spiega don Maurizio. Malgrado la povertà diffusa dietro le sbarre di Montorio «invitiamo tutti a partecipare, magari donando pochissimo - spiega ancora il cappellano -. Compilano la “domandina” per chiedere all’amministrazione di prelevare dal loro conto corrente quei pochi euro cui vogliono rinunciare». Grazie al loro aiuto, Marianna potrà vivere all’interno della comunità gestita della fondazione Regina Pacis di Verona, di cui è ospite. E non è la prima volta che i carcerati di Montorso partecipano a progetti di solidarietà di questo tipo: sempre a Quixada, avevano sostenuto gli studi di Felipe che adesso, dopo due anni, è potuto tornare nella sua famiglia. E la solidarietà dei "ristretti" di Montorio non si ferma qui: all’indomani del terremoto che ha scosso l’Aquila la colletta, passata di cella in cella, ha permesso di raccogliere più di mille euro che sono stati consegnati alla Caritas diocesana di Verona. «Aprirsi alle difficoltà e alle sofferenze degli altri, non chiudersi a guscio su se stessi aiuta a crescere, a scoprire la strada per risolvere i propri problemi», conclude don Maurizio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: