sabato 21 gennaio 2023
«Molti medici si rifiutano di lavorare tra i reclusi». San Vittore, Opera, Bollate e Beccaria: 2 operatori ogni 600 pazienti. Firmato accordo per aumentare stipendi. Summit in Regione il 30 gennaio
Carceri, mancano gli infermieri. I sindacati lanciano l'allarme

Ansa

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Nelle carceri milanesi di San Vittore, Opera, Bollate e al minorile Beccaria mancano infermieri e operatori socio-sanitari e si riscontra anche una pesante precarietà dei medici in servizio. Il diritto alla salute dei detenuti sarebbe dunque a rischio. La denuncia arriva da Fials e Nursing Up che sottolineano come i “camici bianchi” spesso si rifiutino di lavorare in carcere a meno che non siano alle prime armi, neo-laureati o specializzandi che appena trovano prospettive di lavoro più allettanti, se ne vanno. «E quelli che rimangono – afferma Mimma Sternativo, segretario Fials Milano Area metropolitana – resistono mediamente per un massimo di sei mesi, poi avviene la fuga».

I numeri forniti dalle organizzazioni sindacali parlano di due infermieri ogni seicento pazienti da curare, come accade, per esempio, a Opera, un carcere di massima sicurezza con circa 1.400 reclusi, dove gli operatori della sanità sono passati da 56 a 31. La tabella degli organici mette in evidenza, ancora, come a Bollate (1.400 carcerati) nel turno di mattino siano impegnati 5 infermieri, 4 oss e un interinale, presenze dimezzate nel pomeriggio e ridotte a un solo addetto durante la notte. Critica anche la situazione al Beccaria (37 ospiti minori d’età) con zero infermieri al mattino, due al pomeriggio e nessuno la notte. E San Vittore (circa 900 detenuti) ha solo 17 unità destinate alla cura dei reclusi. «Non esistono, però, standard assistenziali che permettano di stabilire quanto personale occorra per garantire l’assistenza dovuta – commenta Sternativo –, questo è il primo problema. Manca poi il sostegno psicologico per chi lavora in carcere, che si trova di fronte a situazioni complesse».

«E in effetti, i numeri non si esauriscono qui – precisa Antonio De Palma, presidente nazionale di Nursing Up – dal momento che le direzioni carcerarie rendono noto di dimissioni a raffica, negli ultimi mesi, da parte del personale sanitario che non si sente adeguatamente tutelato, in particolare medici, alle prese con tentate aggressioni, continui tentativi di suicidi da parte dei detenuti e disagi mentali di questi ultimi. E i professionisti che si allontanano non vengono adeguatamente rimpiazzati». Non è facile, in queste situazioni, osserva De Palma, convincere altri colleghi ad accettare incarichi così delicati. Il presidente del sindacato più rappresentativo degli infermieri parla inoltre di «colleghi lasciati soli, troppo spesso dimenticati, in contesti difficili, dove lavorare è sempre una lotta quotidiana. Tra organici ridotti all’osso – precisa – gli infermieri giovani e spesso inesperti, seppur coraggiosi nell’affrontare contesti di dipendenze, con soggetti spesso aggressivi e con problemi psicologici, vanno sostenuti per quelle qualità umane e per le competenze che mettono in gioco, che sono alla base delle loro delicatissime responsabilità professionali».
L’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, che ha in capo la gestione sanitaria delle carceri, ha già sottoscritto un accordo per aumentare la retribuzione per chi lavora in carcere, ma ha dovuto utilizzare i residui di fondi contrattuali aziendali. Lo conferma il direttore generale dell’Azienda sanitaria, Matteo Stocco il quale, ben consapevole dell’emergenza, precisa che quello di incentivare gli stipendi «è un provvedimento tampone perché sarebbe necessario, invece, assumere più professionisti: esiste però un’oggettiva carenza nel mercato del lavoro, i medici sono pochi e prima della pandemia era più facile reclutarli, adesso è necessario ricorrere a trasferimenti e ordini di servizio per destinarli al delicato compito curare i detenuti». Stocco precisa che il compito principale degli infermieri nelle carceri è quello di somministrare i farmaci e garantire una presenza nelle infermerie, tenuto conto che un gran numero di detenuti è tossicodipendente e ha bisogno di cure e assistenza specifica.
Per trovare soluzioni al problema, è stato già fissato un incontro tra organizzazioni sindacali e Regione Lombardia: si svolgerà il 30 gennaio al Pirellone.

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