mercoledì 21 agosto 2013
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Una città immacolata, dalle case bianche “fino a fare male agli occhi”. Per chi arriva dal mare è impossibile non vedere il profilo di Ostuni stagliarsi contro la terraferma: i muri, le case, le porte della città pugliese sono completamente bianchi. «Una tradizione che risale al 1600, quando le mura della città vecchia vennero imbiancate a calce per fermare il contagio della peste», spiega Fabrizio Monopoli. Una prassi che si è portata avanti nel tempo e che, ancora oggi, rende la Città Bianca così peculiare a distanza di secoli. Una tradizione che però, per incuria e trascuratezza, si sta perdendo. Il bianco di Ostuni, lentamente, si sta spegnendo. «Non ci sono più i vecchi proprietari delle case del centro che, regolarmente, ritinteggiano i muri», aggiunge Fabrizio che nei mesi scorsi, assieme a un gruppo di amici, ha fondato l’associazione “Salviamo il bianco” per restituire alla città il suo caratteristico colore. Per raccogliere i fondi necessari all’attività di restauro, l’associazione ha stretto un’alleanza con le detenute del carcere di Lecce che da diversi anni confezionano magliette, borse e altri capi d’abbigliamento con il marchio “Made in carcere”. Braccialetti e t-shirt con il logo dell’associazione “Salviamo il bianco” sono stati messi in vendita sui lidi, nei locali e nei luoghi della movida cittadina. «Con il ricavato abbiamo raccolto i fondi necessari per una parte della tinteggiatura» spiega Fabrizio Monopoli. Per festeggiare il risultato raggiunto, domani sera si svolgerà all’interno del carcere di Lecce un’inedita “Cena in bianco” che vedrà seduti attorno a un tavolo le detenute e una cinquantina di invitati. «Vogliamo celebrare - sottolinea Paolo Pecere presidente di Salviamo il bianco - due importanti risultati: la raccolta dei fondi necessari e la promozione dell'attività lavorativa delle detenute. Cenare con loro non è solo un modo per ringraziarle per il lavoro che stanno svolgendo ma è anche un messaggio di speranza, di solidarietà a quelle donne che hanno commesso un errore e che dimostrano di voler costruire un futuro migliore». Il dress code è essenziale: tutti gli invitati dovranno vestirsi di bianco da capo a piedi. Una scelta che coinvolge abbigliamento e tavola ma che racconta della voglia di riscrivere la propria storia partendo da una pagina bianca. «Un’iniziativa che testimonia come il carcere vuole essere parte attiva del suo territorio e non un luogo immobile», sottolinea il direttore del penitenziario, Antonio Fullone. Una cena “di gala” molto speciale come spiega anche Luciana Delle Donne, fondatrice di Made in Carcere, «è importante dimostrare che il benessere comune procura vantaggio e tutti e che l'applicazione del buon senso genera sempre benessere. Abbiamo dimostrato che con piccole azioni è possibile innescare buone prassi». La cena sarà offerta dei produttori che collaborano con i presidi Slow Food e che hanno messo a disposizione i loro prodotti, tra cui mandorle e taralli. Durante la serata saranno realizzate dal vivo le mozzarelle, ai fornelli lo chef di Tenuta Moreno, Vincenzo Elia.
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