martedì 17 novembre 2020
Parlano di un contagio aumentato del 600%: i cappellani delle carceri della Campania dicono che «l’epidemia di coronavirus sta mettendo a dura prova la situazione dei penitenziari».
I sacerdoti che vivono tutti i giorni a fianco della popolazione rinchiusa in cella preoccupati per l’aumento dei contagi e la mancanza di soluzioni al sovraffollamento

I sacerdoti che vivono tutti i giorni a fianco della popolazione rinchiusa in cella preoccupati per l’aumento dei contagi e la mancanza di soluzioni al sovraffollamento - ANsa

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Napoli Parlano di un contagio aumentato del seicento per cento nelle ultime settimane: i cappellani delle carceri della Campania dicono che «l’epidemia di coronavirus in queste ultime settimane sta mettendo a dura prova la situazione dei penitenziari ». Scrivono una lettera al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in cui chiedono di «rivedere la sua posizione sull’indulto, che in questo momento sarebbe una misura di civiltà giuridica che porrebbe freno alla condizione inumana in cui i detenuti versano». «Chi era ai margini lo è ancora, e aggiunge alla sua ordinaria condizione di precarietà anche quella di un’esposizione al rischio di contagio sicuramente maggiore. Con effetti deflagranti anche dal punto di vista psicologico ».


Lettera dei cappellani della Campania al Guardasigilli: detenuti abbandonati, situazione ingestibile Il ministro riveda la sua posizione sull’indulto e rilanci una legge per rafforzare le misure alternative

Ma chi soffre di più – proseguono i firmatari della lettera – sono i detenuti, che per i cappellani «sono dimenticati e pagano il prezzo del venir meno di un ordine normale delle cose, di provvedimenti restrittivi che hanno acuito la sofferenza di chi è recluso, causando rivolte e morti». Nella lettera (sottoscritta dal direttore della pastorale carceraria di Napoli don Franco Esposito, da don Alessandro Cirillo della Casa di tutela attenuata di Eboli, dai cappellani di Poggioreale don Giovanni Liccardo e padre Massimo Giglio, di Secondigliano don Giovanni Russo, di Salerno don Rosario Petrone, dal vicario episcopale della Carità della diocesi di Nola don Aniello Tortora, dal cappellano dell’ex carcere Lauro di Nola don Carlo De Angelis, oltre a padre Alex Zanotelli e numerosi magistrati ed esponenti della società civile), i firmatari parlano di «un’informazione su quanto accade tra le mura delle carceri pressoché inesistente » e «quindi di uno stato di paura e angoscia costante».

I cappellani della Campania invocano «la riforma dell’ordinamento penitenziario che è stata procrastinata da tutti i governi». In un momento in cui le carceri si affollano e prende corpo nella società «una visione spregiudicata che tende a presentare la sanzione penale e il carcere come gli antidoti ad ogni male», denunciano, inoltre, «istituti penitenziari gonfi all’inverosimile, in cui, di fatto, la situazione è ingestibile». Per questo ritengono che non sia sufficiente rivedere il decreto recentemente adottato per l’emergenza coronavirus (che incide solo su una posizione molto ridotta, perché riguarda chi deve scontare ancora 18 mesi). Chiedono di «estendere a quanti più soggetti possibile la liberazione anticipata e, con la collaborazione dei Comuni, provvedere a dare un domicilio a tutte le persone detenute che ne sono prive».

Inoltre, ritengono sia necessario considerare con urgenza l’ipotesi di «una legge sulle misure alternative, che le potenzi, le sviluppi e le favorisca. Riformando gli uffici di sorveglianza, troppo spesso lenti, anzi lentissimi». «Questa lentezza – scrivono i sacerdoti – si traduce in una sostanziale violazione dei diritti dei detenuti. È necessario scarcerare chi, anche come residuo di maggior pena, si trova nella condizione di dover espiare pochi anni. Ciò favorirebbe il reinserimento nella società». La richiesta è, dunque, quella di un carcere più umano, in cui i colloqui non siano eliminati ma, con le dovute cautele, solo ridotti. E, nello specifico, siano istituiti presidi sanitari interni perché – è la conclusione – «non possiamo arrenderci. Non accettiamo l’idea che il principio di solidarietà debba essere espunto dal nostro contratto sociale. Crediamo in una giustizia dal volto umano».

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