venerdì 29 novembre 2013
​Presentata a Padova un'esperienza brasiliana: amore, fiducia e disciplina per ricominciare. Quaranta i centri gestiti dai condannati, dove non ci sono né armi né agenti e tutti lavorano. (Lucia Bellaspiga)
L'ANALISI «Un modello suggestivo esportabile»
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«Ve lo immaginate un carcere in cui bussate e chi vi viene ad aprire, chiavi in mano, sono i detenuti?». La domanda ieri veniva posta a un pubblico d’eccezione, i carcerati (anche ergastolani) di Padova. Eppure non ammiccavano né sorridevano: ascoltavano attenti, valutavano, forse sognavano. E noi ce lo immaginiamo? In Brasile ne esistono quaranta e vi scontano la pena tremila fortunati detenuti (su una popolazione carceraria di 550mila persone): si tratta di quaranta carceri molto speciali chiamate Apac (Associazioni di protezione e assistenza ai condannati), nate dall’intuizione di un italiano oggi novantenne, Mario Ottoboni, nelle quali non esistono sbarre né armi e tantomeno guardie, eppure i detenuti -  chiamati rieducandi - hanno da scontare condanne a volte pesantissime. Sono loro a gestire in gran parte il centro di detenzione e tutti lavorano, utilizzando senza problemi seghe o coltelli, attrezzi che dalle nostre parti getterebbero nel panico l’intera casa circondariale...Follia pura? No, visti i risultati dopo quarant’anni: tra gli ospiti delle Apac la recidiva cala dall’85% al 15% e precipitano anche i costi, un terzo rispetto al normale. Un vero toccasana per il collassato sistema carcerario italiano, condannato dalla Corte europea per i Diritti dell’uomo ed entro maggio 2014, se non cambieranno le cose, sanzionato. In realtà i fiori all’occhiello li abbiamo, grazie alle alternative al carcere offerte dall’Associazione Papa Giovanni XXIII (che vanta una recidiva all’8%) e alla Cooperativa Giotto attiva proprio nel carcere Due Palazzi di Padova, ma restano pur sempre felici eccezioni. Sarebbe allora possibile importare il modello delle Apac brasiliane? E come mai un’esperienza tanto virtuosa è divenuta realtà proprio in uno dei più popolosi e disumani sistemi carcerari al mondo? A parlarne ieri nel carcere di Padova era una delegazione di magistrati e volontari venuti dal Brasile, accolti al Due Palazzi dalla Cooperativa Giotto e dai 120 detenuti che grazie ad essa hanno riscoperto la dignità di un lavoro e l’efficacia di una detenzione che rieduchi. «Come mai in Brasile? – ha risposto Luiz Carlos Iezeude, giudice federale del Consiglio nazionale di Giustizia – Perché in Brasile il modello classico è superfallito!». Così l’alleanza strategica tra associazioni, società civile, ministero della Giustizia e imprese ha tentato il miracolo: in particolare brilla l’esempio dello Stato di Minas Gerais, dove Apac e Avsi hanno stabilito una partnership con la Fiat Brasile.«Le carceri di tutto il mondo sono un fallimento – ha sottolineato Nicola Boscoletto, presidente di Officina Giotto – Avsi ci ha segnalato il miracolo di quelle strane carceri e sono volato in Brasile. Ero perplesso, ma ogni riserva è caduta quando ad aprirmi le porte è stato un carcerato. Lì, appena arriva un nuovo condannato, per prima cosa gli danno dei vestiti normali e un lavoro da imparare». «Per accedere a un’Acap bisogna prima essere rimasti un anno nel carcere normale dove, come nel resto del mondo, si sta 24 ore senza fare nulla e si perde la propria identità», ha detto strappando applausi Valdesì Antonio Fereira, presidente della federazione che unisce le 40 realtà, «poi arrivano da noi e scoprono un altro pianeta, dove hai davvero la tua possibilità di ripartire da zero». Ecco perché nessuno scappa, nonostante l’assenza di guardie: se sgarri, torni al carcere ordinario. «Il metodo si basa su tre fondamenti: amore, fiducia e disciplina – ha continuato Fereira –, assicuro che è applicabile ovunque. Non avere polizia penitenziaria non è un principio della metodologia, è invece la conseguenza: perché si dovrebbe scappare da un luogo in cui cambi davvero? L’Italia, centro del cristianesimo, non resti fuori da questa rivoluzione!».Un invito attuale, vista la condanna della Corte Ue, tanto più che proprio l’Europa l’altroieri a Bruxelles durante gli European Development Days (la più importante piattaforma di dibattito sui diritti umani) ha scelto le Apac come esempio da seguire. «A Bruxelles abbiamo chiesto che l’Ue parta con progetti pilota», ha assicurato Boscoletto. Cui si appella con passione Giovanni Maria Pavarin, presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia: «Costringete Bruxelles a costringere l’Italia». Oggi in Senato la delegazione italo-brasiliana incontrerà il ministro Cancellieri.
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