giovedì 5 maggio 2022
Ad Assisi il Convegno degli operatori della pastorale penitenziaria. Sacerdoti, suore e volontari in dialogo con la ministra della Giustizia Cartabia, il Garante dei detenuti Palma, il cardinale Zuppi
Il carcere di Santa Maria Capua Vetere

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere - ANSA

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Sono un punto di riferimento essenziale per chi, assieme alla libertà, rischia di perdere anche la speranza. Per i detenuti credenti - non solo cristiani - e per chi nell'angoscia del carcere cerca comunque un dialogo. Sono i cappellani dei 190 istituti penitenziari d'Italia, arrivati a Santa Maria degli Angeli, frazione di Assisi che custodisce la chiesetta della Porziuncola, per il loro IV Convegno nazionale, dal 2 al 4 maggio. «Cercatori instancabili di ciò che è perduto» il tema dell'appuntamento. Sottotitolo, un passo del vangelo di Giovanni: «E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre». Una tre giorni arricchita dai contributi della ministra della Giustizia Marta Cartabia, del Garante dei detenuti Mauro Palma, dell'arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi, del segretario della Cei, monsignor Stefano Russo, del procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, del vescovo di Assisi, Nocera Umbra, Gualdo Tadino monsignor Domenico Sorrentino, del presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, don Tonio Dell'Olio.

È don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani penitenziari, a ricordare che «gli operatori della pastorale in carcere si accostano tutti i giorni a uomini e donne che tendono con fiducia le mani per non essere abbandonati, impegnandosi per il loro reinserimento nella società. Tutti hanno il diritto di ricominciare, come ci ricorda il Papa».

«Voi cappellani in carcere siete decisivi», concorda il cardinale Matteo Zuppi: «Rendete possibile la speranza. Tessete il rapporto con l’esterno, aiutando il "fuori" a capire il "dentro", e viceversa». L'arcivescovo di Bologna ieri è entrato subito in sintonia con i quasi 300 tra sacerdoti, suore, diaconi, volontari arrivati a Santa Maria degli Angeli. Per Zuppi «il carcere non può e non deve essere un’isola impenetrabile. Chi lo dice ha una visione ignorante, illusoria, colpevolmente enfatizzata. La vera sicurezza la dà una giustizia riparativa, che rimedia al danno. Se no, non è giusta». Per Zuppi «le riforme in Parlamento su giustizia e carcere devono garantire due dimensioni: lo spazio, per garantire condizioni di vita degne e per preparare al "dopo", e il tempo, da riempire di significato perché abbia un orizzonte». Per l’arcivescovo insomma «chi vuole "buttare la chiave" si illude: senza misure alternative la recidiva è più alta e la società più insicura. Già oggi tantissimi potrebbero scontare meglio la pena, in vista del reinserimento».

Concorda don Tonio Dell’Olio: «Definiamo "alternative" le misure fuori dal carcere, ma alla luce delle recidive e per fedeltà costituzionale, sarebbe ora di dire che è il carcere ad essere alternativo alle altre misure, l’extrema ratio». E per il presidente della Pro Civitate «il Sinodo del carcere sta in due passaggi fondamentali: ascolto e territorio. Non potremo capirlo se non ci convertiamo all’ascolto attento, non potremo convertire né il carcere né noi stessi come Chiesa, se non ci attrezziamo per uno sguardo d’insieme verso il mondo, di cui il carcere è lo specchio».

Il Garante dei detenuti Mauro Palma, esorta i cappellani a vigilare per non avere «occhi assuefatti» alle violazioni dei diritti in carcere. Spesso negli istituti penali, spiega Palma, «esistono sezioni dove più o meno si svolgono attività. Poi ci sono anche sezioni "discarica". Io vado a visitare queste». Ecco perché, avverte il Garante, «serve lo sguardo esterno, non assuefatto, che controlla. Il Garante nazionale vuole proprio essere l’osservatore che non deve abituarsi mai». Poi una provocazione: «So che non è possibile, ma i cappellani dovrebbero ruotare tra un carcere e l’altro», per non rischiare «un’assuefazione alla "banalità del male"». Come «quell'operatore sanitario a Santa Maria Capua Vetere che, dopo le violenze, col piede controllava se il detenuto a terra fosse cosciente».

Don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani, raccoglie la sollecitazione, ma sottolinea la diversità dei ruoli, e gli ostacoli: «Certo, non dobbiamo assuefarci. Noi però, a differenza del Garante, non siamo tutelati. Il Garante denuncia e va via. Noi restiamo, e abbiamo un ministero da portare avanti. Quando denunciamo, rischiamo di essere messi da parte». Don Grimaldi racconta di istituti dove la direzione, come ritorsione contro cappellani “scomodi”, non convocava più i detenuti per le celebrazioni o i colloqui col sacerdote: «E alla fine, chi ci va di mezzo sono i detenuti».

Il giorno di apertura vede l'intervento della ministra della Giustizia Marta Cartabia che, nonostante due consigli dei ministri nella stessa giornata, non è voluta mancare al convegno dei cappellani, collegandosi in videoconferenza. Cartabia usa le parole di Paolo Borsellino che in ogni uomo, anche nel criminale, «cercava la scintilla divina che ha dentro di sé». Lo fa per ribadire che la pena deve cercare di «riaccendere quella scintilla». Perché ce lo chiede l’articolo 27 di quella Costituzione che, confessa la ministra della Giustizia, è «faro, sorgente inesauribile, punto di riferimento per disegnare le mie riforme».

E Cartabia ha parole di «riconoscenza piena di stima verso chi si dedica a una porzione tra le più fragili della nostra società, che merita tutta la nostra attenzione, perché a sua volta tutta la società possa farsi più sicura e più pacificata». Ricorda lo storico cappellano del carcere di Bergamo, don Fausto Resmini, «morto a marzo 2020 di Covid, contratto per non aver mai smesso di "inseguire" i suoi poveri», cui il carcere è stato intitolato. E cita una frase di Paolo Borsellino: «Quando mi trovo davanti qualcuno, prima di tutto cerco l’uomo, con i suoi errori e le sue debolezze, ma che ha dentro di sé una scintilla divina che nessuno, per quanto male faccia, può spegnere. Bisogna trovarla e soffiarci per ravvivarla». «Come non scorgere in queste parole - fa notare la ministra - il volto costituzionale della pena, il senso di umanità dell’articolo 27? È una sorgente inesauribile di creatività, la nostra Costituzione: per me punto di riferimento per le riforme». E i cappellani sono «tra i protagonisti della possibilità che le scintille delle persone che incontrate non si estinguano ma si ravvivino e ardano in un orizzonte di speranza».

Anche Carlo Renoldi, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, riconosce l’importanza «della missione dei cappellani: voi ricordate a noi operatori e alla società che i detenuti sono in primo luogo persone, con bisogni e diritti. Cosa che a volte noi tutti rischiamo di dimenticare. Anche noi cristiani, che non ricordiamo abbastanza che Cristo è stato un detenuto, un condannato a morte».

«Sono certo che siete già instancabili cercatori di ciò che è perduto - dice il segretario della Cei monsignor Stefano Russo nell’omelia - con la vostra presenza in carcere, sostenendo fratelli e sorelle che per qualche tempo hanno vissuto "da perduti", cercando nella loro vita qualcosa di vero e di buono». Perché, ricorda il segretario della Cei con le parole di Papa Francesco, «nessuna cella è così isolata da escludere il Signore che è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro».

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