lunedì 13 settembre 2010
La Procura di Capua indaga responsabili e rappresentanti delle quattro ditte coinvolte nell'incidente che ha provocato la morte di tre persone. Intanto urla la figlia di di Giuseppe Cecere, una delle tre vittime: li comandavate come schiavi.
- Non solo fatalità. Sicurezza senza prezzo di Antonio Giorgi
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Dopo la morte dei tre operai, di una ditta esterna, alla Dsm di Capua, i dipendenti dell'azienda non parlano. Ieri tutti sono stati convocati per un'assemblea con la presenza anche di alcuni vertici dell'azienda arrivati direttamente dall'Olanda.Carmela, da tutti chiamata Lina, 27 anni, occhi gonfi, è entrata dritta nello stabilimento della multinazionale Dsm. Lì dentro, in una cisterna, suo padre è morto, insieme ad altri due colleghi. E così ieri mattina Lina si è messa in ginocchio e a tutti ha chiesto di «fare giustizia». Ha urlato «li trattavate come schiavi». E poi è scoppiata a piangere. È il giorno della rabbia a Capua. E delle accuse. Una su tutte, quella della moglie di una delle vittime: «Assassini, lì dentro non c'era sicurezza».Giuseppe Cecere, 52 anni, Carmine Antropoli, sindaco di Capua, lo ha definito eroe. Secondo una prima ricostruzione, Giuseppe si sarebbe infatti calato in quella cisterna piena zeppa di azoto e di elio, vale a dire una miscela che uccide, proprio per aiutare gli altri suoi due colleghi, Antonio Di Matteo, 63 anni, e Vincenzo Musso, 43 anni. Lui, del resto, era un tipo che quando c'era da lavorare, non si tirava mai indietro. Per la ditta edile di Afragola, che prestava servizio per la Dsm, ci lavorava da 30 anni. Insieme con la moglie e ai suoi tre figli, due ragazze di 27 e 25 anni, e un maschio di 19 anni, viveva proprio in una palazzina di fronte allo stabilimento della multinazionale. Al secondo piano di quella palazzina, nella casa di Giuseppe, foto in ogni dove, ieri le urla della moglie spezzavano in mille pezzi il silenzio. «Non c'è sicurezza, dicono che c'è, ma non è vero - ha ripetuto Giuseppina con ritmo quasi cadenzato - dicono che queste morti sul lavoro non ci devono essere, e invece continuano ad esserci». Ha quasi un rammarico, Giuseppina, bruna, bella, di aver a stento sentito che, poco dopo le sei, il marito è andato via, «non l'ho neanche salutato».«Li trattavano come schiavi - ripete anche la moglie di Giuseppe - gli facevano fare di tutto. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare, è urgente, è urgente: i suoi capi non facevano che ripetere questo». Lo avevano detto anche ad agosto quando a Giuseppe erano stati concessi quattro giorni di ferie, «poi diventati tre perchè doveva fare un lavoro urgente», dice Lina. Giuseppe guadagnava mille euro e lo straordinario per il lavoro di ieri - chi dice trenta euro, chi 50 come se importasse - gli sarebbe stato pagato a dicembre. LE DICHIARAZIONI DI MONSIGNOR SCHETTINOPer monsignor Bruno Schettino, arcivescovo di Capua e presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, spiegando la situazione del territorio di Capua e del Casertano, dove è avvenuto il grave incidente sul lavoro che ha visto la morte di tre operai, «il rischio è che nell'assenza di lavoro, prevalgano la violenza, il crimine, lo spaccio di droga. C'è bisogno di un impegno più forte delle autorità». «Nel nostro territorio - ha proseguito monsignorSchettino - le industrie sono finite, negli ultimi anni hanno chiuso diverse aziende fra le quali alcune legate ai tabacchi e alla telematica. In tutto il territorio, adesso, le possibilità di lavoro sono quasi inestinti». «La crisi - ha spiegato ancora l'arcivescovo - è cominciata una quindicina di anni fa, poi lentamente e inesorabilmente, è sempre andata avanti».
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