lunedì 8 marzo 2010
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso del Pdl, che così al momento resta fuori dalle elezioni regionali per Roma e provincia. Per i giudici il decreto interpretativo non è applicabile al Lazio. Berlusconi sconcertato, ma il dl non si tocca.
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Si ingarbuglia ulteriormente la corsa per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio. Il Tar ha respinto la richiesta di sospensiva del provvedimento della Corte di Appello con cui non era stata ammessa la lista provinciale di Roma del Pdl. Un giudizio pesante basato su due argomentazioni. In primo luogo il Tar del Lazio ha ritenuto che il decreto legge varato in via interpretativa dal governo non debba applicarsi alla Regione Lazio, il cui processo elettorale è regolato dalla legge regionale 2 del 2005. In altre parole l’interpretazione "autentica" (altrimenti detta "autointerpretazione") non potrebbe essere effettuata che dallo stesso organo che ha legiferato, in questo caso la Regione Lazio (e non a caso era questo l’argomento su cui la giunta regionale ha deciso il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto salva liste). Inoltre, tornando alla decisione del Tar Lazio, anche se venisse dimostrato che i delegati del Pdl si trovavano nell’area giudiziaria prima delle 12 - come sostenuto dei ricorrenti del Pdl - non è stato giudicato dimostrabile che avessero con sé tutta la documentazione necessaria per depositare la lista.Un bel groviglio, quindi. Ma il caso non è chiuso. E non solo perché resta aperta la strada del ricorso al secondo grado di giurisdizione amministrativa, al Consiglio di Stato, come conferma il coordinatore regionale del Pdl Vincenzo Piso in attesa di leggere le motivazioni. Strada cui starebbe pensando anche Silvio Berlusconi, che segue l’evolversi della convulsa situazione da Arcore, convinto della bontà del decreto interpretativo adottato. Ma le rinnovate speranze del Pdl sono affidate anche al tentativo di perfezionamento tardivo della pratica avvenuto ieri mattina, intorno alle 12,30, quando la delegazione del partito ha consegnato alla postazione dei carabinieri presso il Tribunale un plico rosso contenente le firme. Sul presupposto - evidentemente - di avere titolo per farlo, sia pur in ritardo, in base al decreto del governo. «Il decreto interpretativo ha consentito al Pdl di depositare la lista che nella fase precedente della procedura non era stata presentata», sostiene Cesare Mirabelli. «La lista – spiega il presidente emerito della Consulta – è stata depositata secondo quanto prevede la nuova legge interpretativa, e quindi deciderà l’ufficio elettorale della Corte d’Appello. Poi di nuovo in seconda battuta il Tribunale amministrativo». Si tratta, in ogni caso, come spiega lo stesso professor Mirabelli, di documentare la presenza negli uffici giudiziari dei dirigenti del Pdl al momento della chiusura dei termini. Ma i costituzionalisti del Pd promettono battaglia in tutte le sedi. Sono pronti, innanzitutto, a ricorrere al Tar contro l’eventuale accoglimento (ai tempi supplementari) delle firme del Pdl da parte dell’ufficio elettorale di Roma, che deve pronunciarsi entro 24 ore, entro le 12,30 di oggi, quindi. L’argomento su cui poggia la strategia del Pd era e resta però la non applicabilità al Lazio del decreto salvaliste, e su questo - come detto - la giunta del Lazio al pari del Piemonte e della Toscana ha già deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale. Era stato, nel pomeriggio, lo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni, auspicando un «rapido pronunciamento» dei Tar. a ricordare che «il cosiddetto decreto "salva-liste" non salva alcuna lista, perché la decisione spetta sempre ai giudici». Appunto. Ma i tempi sono quelli che sono. E, ad aggrovigliare ulteriormente la matassa, anche in caso di accoglimento del ricorso del Pdl al Consiglio di Stato, resta l’attesa per la decisione di merito del Tar che lo stesso Tribunale si riserva di adottare addirittura a maggio. Cosicché, per bene che vada, il voto del Lazio rischierebbe di essere "sub iudice". A rischio di annullamento, insomma. Per cui c’era chi, in serata, iniziava a valutare anche l’ipotesi di un rinvio del voto, nel Lazio, almeno.
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