venerdì 7 giugno 2019
Parla uno degli uomini simbolo della lotta ai canapa shop, ha chiuso otto negozi in città. Il questore Pignataro: aiuto i genitori con figli a rischio
Il questore di Macerata, Antonio Pignataro

Il questore di Macerata, Antonio Pignataro

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Tutto è cominciato da una lettera. «Quella di una mamma e un papà che chiedevano un incontro per raccontarmi la loro grande preoccupazione riguardo alla facilità con cui il proprio figlio, appena adolescente, poteva procurarsi sostanza stupefacente in città visto il numero esponenziale di negozi di cannabis light. In lacrime mi chiedevano aiuto, perché il figlio era caduto in catalessi, non studiava più, si era rinchiuso in casa, era diventato aggressivo». Antonio Pignataro, questore a Macerata, in prima linea nella battaglia contro la cannabis light che è sfociata settimana scorsa nella sentenza della Cassazione, si commuove sempre quando ricorda quella famiglia. «La loro triste storia mi colpì in modo particolare e coincise anche con una segnalazione istituzionale, così promisi loro che avrei studiato la materia e che se avessi riscontrato violazioni di legge avrei chiuso quei negozi».

Cosa accadde dopo?

Iniziai con i miei poliziotti, attraverso appostamenti e verifiche, a condurre un’analisi sull’attività e il commercio di questi negozi. Riscontrammo subito che il proliferare dei negozi di canapa shop era stato originato da una falsa lettura della norma e che la cannabis “legale” di legale non aveva nulla. L’età della clientela poi risultava costituita nella quasi totalità da adolescenti, alle volte avevano meno di 16 anni: alcuni di loro acquistavano i prodotti per poi venderli a un prezzo superiore ad altri ragazzi.

E sono cominciati i sequestri. A quanti siete arrivati?

In città sono stati chiusi otto negozi, tra cui un’edicola e un tabacchi che vendevano infiorescenze, e denunciati i proprietari per il reato di detenzione ai fini di spaccio. Sono stati sequestrati circa 15 chili di sostanza stupefacente del tipo marijuana e circa un migliaio di confezioni con infiorescenze. Parallelamente abbiamo incassato il sostegno delle comunità di San Patrignano e della Comunità Incontro (basta parlare coi loro ragazzi per rendersi conto dei danni che la cannabis può provocare) e accumulato tutti i dati scientifici a disposizione riguardo la gravità degli effetti che i derivati della cannabis hanno sulla psiche in formazione delle giovani vite, le devastazioni che procurano nello sviluppo cerebrale. La chiusura dei negozi di cannabis light, dal mio punto di vista, deve essere vista in un’ottica di tutela delle giovani vite. E delle famiglie, anche.

Ha poi risentito quei genitori?

Lettere e richieste come la loro si sono moltiplicate, provenienti non solo da Macerata. C’è stata la mamma di un ragazzo di 12 anni, distrutta. Quella stessa mamma a gennaio è venuta di persona a ringraziarmi per dirmi, con gioia, che il figlio – non riuscendo più ad acquistare la cannabis in questi negozi – aveva ripreso a studiare e a condurre una vita normale. Di più: lo stesso ragazzino aveva maturato la consapevolezza che non si trattava di una sostanza illegale e innocua, ma di una sostanza nociva alla salute. Voleva ringraziare anche lui, la Polizia.

Ai ragazzi lei cosa direbbe?

Un giovane che fugge dalla fatica del vivere, del mettersi in relazione con gli altri, del portare un suo pezzo di sofferenza attraverso una qualsiasi sostanza – per quanto sembri innocua – non ama la vita. Ai giovani vorrei dire di riprendere in mano la propria vita, di non sfuggirle, di non rinunciate a vivere e scoprire il bello della quotidianità coltivando le passioni. Poi, certo, i loro idoli invece gli dicono il contrario...

Si riferisce al commento di Vasco Rossi, che ha dichiarato vergognoso il divieto di vendita della cannabis light «perché la marijuana non uccide»?

Come uomo fiero ed orgoglioso di rappresentare lo Stato, ma anche come genitore, direi a personaggi famosi e rockstar che prima di esprimere opinioni e giudizi basati su convinzioni puramente personali, senza supporto scientifico e giuridico, sarebbe meglio per loro avvicinarsi e ascoltare le tribolazioni dei ragazzi delle comunità terapeutiche, conoscere i loro percorsi nel dolore, vivere i drammi delle famiglie che vedono i propri figli percorrere strade che conducono inesorabilmente all’autodistruzione. Invito queste persone a recarsi proprio a San Patrignano, o alla Comunità Incontro. Potrebbero uscire dai luoghi comuni e dai cliché dei personaggi 'fuori dalle righe ad ogni costo' per dare invece ai ragazzi uno spunto per valorizzare se stessi e la ricchezza della propria interiorità.

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