martedì 27 marzo 2018
I ricercatori inglesi hanno convalidato l'importanza della perdita di cellule di dopamina per l'insorgenza della malattia, che colpisce 600mila persone in Italia, già studiata dall'ospedale romano
Alzheimer, confermato legame tra dopamina e ricordi
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Un nuovo legame tra la diminuzione della quantità di dopamina prodotta dalle cellule situate nella parte profonda del cervello e l’abilità di formare nuovi ricordi potrebbe essere cruciale per riconoscere i primissimi segni della patologia di Alzheimer. Un punto fermo, messo a segno dai ricercatori inglesi che hanno confermato gli studi già avviati dal Campus Biomedico di Roma, che potrebbe rivoluzionare gli screening per l’Alzheimer, patologia che colpisce più di 520mila persone in Regno Unito, oltre 600mila in Italia e 47 milioni di persone in tutto il mondo, destinate a triplicarsi entro il 2050. Alcuni mesi fa, in laboratorio, l'equipe di scienziati guidati da Marcello D'Amelio dell'IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma (e anche docente all'università Campus bio-medico di Roma) erano già arrivati a questi risultati, adesso per la prima volta confermati dai ricercatori inglesi sull'uomo.

I ricercatori dell’NIHR Biomedical Research Center dell’Università di Sheffield hanno infatti scoperto che la perdita di cellule che producono dopamina – un neurotrasmettitore che ha un certo numero di funzioni, tra cui la regolazione del movimento e delle risposte emotive – può causare il malfunzionamento della parte del cervello responsabile della formazione di nuovi ricordi. La scoperta potrebbe rivoluzionare il modo in cui le scansioni cerebrali sono acquisite e interpretate, così come l’utilizzo di differenti test per la memoria.

La ricerca

I ricercatori Annalena Venneri e Matteo De Marco dello Sheffield Institute for Traslation Neuroscience hanno acquisito risonanze magnetiche a 3Tesla (con il doppio della potenza) di 51 adulti sani, di 30 pazienti con diagnosi di decadimento cognitivo lieve e di 29 pazienti con diagnosi di Alzheimer. I risultati hanno dimostrato un legame-chiave tra le dimensioni e la funzionalità dell’area tegmentale-ventrale, le dimensioni dell’ippocampo e l’abilità a imparare nuovi concetti.

«L’ippocampo – spiega Annalena Venneri – è associato con la formazione di nuovi ricordi, per questo tale scoperta è cruciale per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. Il risultato mostra un cambiamento che scatta repentinamente e che può innescare l’Alzheimer. Questo è il primo studio al mondo che è riuscito a dimostrare questo collegamento negli esseri umani». Un possibile beneficio di questa scoperta è che potrebbe portare a un’opzione di trattamento differente della malattia, «con la possibilità di cambiarne o fermarne il corso molto precocemente, prima che si manifestino i principali sintomi».

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