mercoledì 10 giugno 2015
Mafia Capitale, assedio e ressa in Campidoglio
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Un assalto in piena regola. E un clima di doppia tensione (di ordine pubblico e politica) che si respira quasi fino a sera. In Campidoglio va in scena un martedì decisamente fuori dal “Comune”. I nuovi sviluppi su Mafia Capitale con gli altri cinque arresti di ieri - scatenano una dura protesta iniziata in piazza e conclusasi addirittura in aula. Succede davvero di tutto: resse, spintoni, cordoni delle forze dell’ordine in tenuta anti- sommossa e un Palazzo Senatorio letteralmente blindato. Alla manifestazione dei dipendenti della Multiservizi arrivati con tanto di striscioni per assistere alla seduta convocata per approvare la surroga temporanea dei quattro consiglieri finiti in manette nel secondo round dell’inchiesta -, si è unita quella dei rappresentanti di Casapound e di M5S. «Mafiosi, fateci entrare » si sgolano i grillini davanti alle transenne. «Dimettetevi tutti», è il coro lanciato all’unisono da pentastellati ed estremisti di destra. Al presidio esterno partecipano pure alcune delegazioni locali di Ncd, Fratelli d’Italia e della lista Noi con Salvini. In aula, tuttavia, provano (e riescono) a entrare solo i Cinque Stelle. Scoppia il caos. Il consigliere grillino Enrico Stefàno s’arrampica sulla statua del Giulio Cesare e adagia sulla mano destra della scultura un cartello con la scritta 'Onestà'. È presente anche Ignazio Marino. «Te ne vai o no?» è la domanda retorica che gli viene rivolta. Il primo cittadino replica ai contestatori dispensando larghi sorrisi, lanciando baci con le mani e alzando le braccia in segno di vittoria. Con un voto lampo, alla fine, l’assemblea dà il via libera al subentro - come consiglieri - dei primi quattro non eletti alle scorse elezioni: Liliana Mannocchi e Cecilia Fannunza (Pd), Daniele Parrucci (Cd) e Alessandro Cochi (Pdl). Quest’ultimo, a causa della bagarre, non riesce neanche a fare ingresso in assemblea. Sul fronte politico, intanto, Marco Vincenzi si dimette da capogruppo del Pd alla Regione (al suo posto Riccardo Valentini). «Ma non corrispondono nel modo più assoluto a verità – si difende il dimissionario –, le affermazioni di Buzzi su un mio presunto interessamento per far ricevere al municipio di Ostia 600mila euro o qualsiasi altra cifra». Dopo le dimissioni del capo di gabinetto Maurizio Venafro (indagato), quindi, l’amministrazione di Zingaretti perde un altro pezzo grosso. Ma il presidente, al Tg1, si difende: «Certo che avvertivamo un clima pericoloso e infatti in 4 miliardi di euro di gare bandite non hanno vinto nulla». Quindi promette: «Continueremo a vigilare». Tutto il Pd capitolino, insomma, è sotto attacco. Ma Marino non ha la minima intenzione di mollare: «I lavori dell’aula Giulio Cesare risalgono alla giunta Alemanno». Poi, in serata, dalle telecamere di La7,accusa pesantemente alcune correnti locali del partito: «Mentre dal Pd nazionale ho avuto un grande aiuto, sono stato ostacolato nella parte del Pd romano che non si riconosce nelle persone perbene, ma in quelli che io chiamavo in modo dispregiativo capibastone». Infine, l’affondo contro Alemanno: «È il mio predecessore che è indagato per mafia. Il commissariamento sarebbe il mondo all’incontrario ». Ma la polemica non si spegne. Tweet di Grillo: «Il Comune di Roma va disinfestato». Il deputato Pd Emanuele Fiano: «L’assalto al Campidoglio di Casapound e M5S è neofascismo».
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