mercoledì 13 dicembre 2017
Arrestate la sorella e tre cognate del boss: devono rispondere di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa
Blitz della Dia, arrestate le donne del boss Zagaria
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Manette alle donne del clan. Ieri la Dia di Napoli, guidata da Giuseppe Linares, ha arrestato la sorella e le tre cognate del boss Michele Zagaria, catturato il 7 dicembre 2011 dopo 16 anni di latitanza e ora al 41bis. Beatrice Zagaria, Francesca Linetti, moglie di Pasquale, attualmente detenuto, Patrizia Martino, moglie di Antonio, anche lui detenuto, Tiziana Piccolo, moglie di Carmine, libero ma sottoposto alla sorveglianza speciale, sono accusate di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa per aver ricevuto mensilmente «uno stipendio tratto dalle casse del sodalizio criminale facente capo a Zagaria Michele».
Inoltre la sorella del boss avrebbe «svolto un ruolo di riferimento per tutta la famiglia Zagaria, con lo specifico e reiterato compito di provvedere alla distribuzione dello stipendio, provento delle illecite attività del clan, necessario al sostentamento economico dei familiari in libertà, come le cognate, nonché per il sostentamento di tutti i familiari detenuti, mediante consegna di uno "stipendio" mensile pari a 2.500 euro». Tredicesima compresa.

Operazione Nereidi, della Dda di Napoli, scattata ieri all’alba nel paese di Casapesenna, "feudo" di Michele Zagaria, dove è stato catturato, come narrato nella recentissima fiction di Rai1 Sotto copertura. Trasmissione che il boss non ha gradito, al punto da presentare una denuncia per danno d’immagine e una richiesta di risarcimento di 100mila euro. Richiesta per ora respinta dal Tribunale di Roma in quanto la fiction «non muta l’idea che la maggior parte delle persone ha del criminale».

Ma questa non è fiction. È una realtà che conferma ancora il potere di "capastorta", uno dei soprannomi del boss, malgrado il regime del carcere duro. Le intercettazioni durante i colloqui in carcere con la sorella e le cognate, e quelle su cellulari e smartphone grazie al virus trojan, descrivono bene questo potere e il ruolo delle donne, «un vero ruolo di comando, essendo portatrici delle volontà di Zagaria», come spiega il capo centro della Dia di Napoli, Giuseppe Linares. Il boss soffre la detenzione dura a cui è sottoposto, ma riceveva, comunque, ingenti somme di denaro dai congiunti. Lui e i fratelli hanno ricevuto in carcere, dal 2011 al febbraio 2017, 135mila euro in contanti, cui vanno aggiunte le spese di viaggio e pernottamento che i familiari hanno affrontato per recarsi ai colloqui e che sono documentate sulla scorta delle intercettazioni e dei biglietti, 3.500 euro ogni sei mesi per ogni nucleo familiare.

Le mogli dei fratelli non venivano lasciate sole perché, come diceva lo stesso boss nei colloqui con i familiari, «fate parte della famiglia». E questo malgrado le loro lamentele. In un colloquio intercettato in carcere con il marito Carmine, la Piccolo se la prende con la cognata Gesualda: «I bambini a Pasqua non si dovevano vestire?». Anche Patrizia Martino, in un colloquio dice: «Ho 52 anni e mi sono scocciata di chiedere l’elemosina; siamo al 26 e devo ancora pagare il fitto al Tribunale». Ma nell’ordinanza il Gip osserva che le somme percepite nel tempo da Beatrice e dalle cognate «hanno consentito loro di continuare a vivere una vita agiata, senza dover lavorare».

Una condizione che Zagaria rinfaccia alle donne arrivando a minacciarle. Così nel colloquio avvenuto a Opera rimprovera con durezza la cognata Tiziana Piccolo, per aver affermato di «aver dato alla famiglia vent’anni della sua vita»: «Non li hai dati mica a noi – dice il capoclan – sei stata insieme con noi, hai vissuto insieme con noi vent’anni». E aggiunge: «Nella mia coscienza mi sono pentito, però mi potevo pentire pure in altro modo. Se mi pento in un’altra maniera tu fra sei mesi vai a lavare le scale». Poi rivolgendosi anche alle sorelle Gesualda e Beatrice, amplia la minaccia: «Allora, tu, tu e tu, andate a lavare le scale; può essere pure che tu ci vai perché non abbiamo cosa mangiare, non abbiamo che fare, e siamo d’accordo, però se io faccio il pentito, lo dico bello e chiaro, è per colpa mia che faccio il pentito, e tu devi andare a lavare le scalinate».

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