sabato 6 luglio 2013
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​«Più cuore in quelle mani», amava ripetere Camillo de Lellis ai suoi confratelli. Nella frase del santo che dedicò la sua vita alla cura degli ammalati e dei bisognosi è racchiuso uno stile, una concezione di assistenza che va oltre il mero approccio medico-scientifico. Una filosofia che continua a guidare l’attività dei Camilliani e degli operatori laici impegnati nel settore socio-sanitario. Sono più di 200 le strutture gestite dalla famiglia religiosa e sparse in 40 nazioni di cui la metà nei Paesi in via di sviluppo. Ambulatori, dispensari, ospedali missionari, case di cura per anziani, tossicodipendenti, senza fissa dimora e disabili, centri per malati di Aids dove la persona viene accolta e accudita a 360 gradi. «La tecnica non riesce ad intervenire in alcuni spazi fondamentali per il paziente che solo un incontro umano, pastorale, etico e spirituale può coprire», osserva padre Paolo Guarise, vicario generale dell’ordine, sottolineando che «anche in un mondo dominato dalla tecnica, c’è sempre posto per la compassione». Soprattutto se si ha a che fare con persone sofferenti e fragili, a maggior ragione se povere o emarginate. «Il nostro focus - rileva - è piuttosto sul sociale: dove non arriva lo Stato, arriva la carità». Sulle orme del fondatore - che fu in prima linea nell’aiutare i feriti durante le guerre d’indipendenza ispirando l’opera della Croce Rossa di Henry Dunant - i Camilliani operano su diversi fronti, dal lavoro sul campo alla formazione. «Da una ventina di anni - spiega il vicario generale - siamo attivi nella cura dell’Aids. Abbiamo diversi centri, molti in Kenya, Perù e Spagna: si tratta di piccole case famiglia in cui l’operatore diventa per i quattro o cinque pazienti una mamma. L’accoglienza in una casa è importante, specialmente in Africa dove i bambini sieropositivi spesso sono orfani». E poiché San Camillo non esitò a portare soccorso mentre la peste dilagava a Milano o l’esondazione del Tevere mieteva vittime a Roma e in situazioni di fame e carestia, non manca un impegno dei religiosi nelle emergenze come i terremoti e le inondazioni. Indonesia, Cile, Haiti e Perù sono solo alcune delle aree in cui si è intervenuto recentemente: «Il nostro non è un primo soccorso, quanto più un’azione di supporto morale, spirituale e sociale anche nel lungo periodo. Promuoviamo infatti progetti che aiutino le persone a riprendere una vita normale», dice padre Guarise che per 23 anni è stato missionario in Kenya dove ha prestato il suo servizio come cappellano dell’ospedale («la malattia più diffusa era l’Aids - ricorda - e spesso mancavano gli elementi indispensabili, i guanti ad esempio, per garantire l’igiene e l’assistenza, mentre nei Paesi ricchi è forte l’enfasi sulle cure cosmetiche») e nella formazione dei giovani. «Per avere una buona sanità, è necessario avere buoni operatori sanitari», conclude il religioso evidenziando lo sforzo dell’ordine nel campo dell’educazione. Che si realizza nella sede universitaria del Camillianum, l’istituto di teologia pastorale sanitaria di Roma, e in una quindicina di centri pastorali per laici e consacrati. 
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