giovedì 5 novembre 2015
Per cambiare sesso all'anagrafe non è obbligatorio l'intervento ma è «ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale» del cambiamento e del suo «carattere definitivo». Lo dice la Corte Costituzionale.
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Per ottenere la rettificazione del proprio sesso non è necessario un intervento chirurgico. Ma non è sufficiente l'autopercezione del soggetto che la richiede: «Rimane ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo». Lo si legge in una sentenza depositata ieri dalla Corte Costituzionale, a conclusione di una causa sollevata dal tribunale di Trento. Al vaglio della Consulta c'era la legge 164/82 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), che all'articolo 1, comma 1, così recita: «La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca a una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». Secondo i magistrati trentini, questa disposizione era illegittima poiché subordinava il cambiamento di sesso all'«intervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari». Vale a dire che obbligava la persona desiderosa di vedersi attribuito un sesso diverso all'esecuzione di «trattamenti clinici altamente invasivi», pregiudicando così «l'esercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere». La Corte Costituzionale fornisce una doppia risposta. Da un lato mostra di aderire alla prospettazione del tribunale, e lo fa richiamando la sentenza 162/85, che già 30 anni fa aveva teorizzato «un concetto di identità sessuale nuovo», non più esclusivamente basato sugli «organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita». Dall'altro, però, sottolinea che il giudice di primo grado sbaglia a interpretare la norma impugnata. Secondo quanto deciso, l'articolo al suo vaglio non subordina infatti la dichiarazione di rettificazione di sesso all'intervento chirurgico, poiché, letto insieme all'articolo 31, comma 4, del decreto legislativo 150/2011 («Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico- chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato») va interpretato nel senso che l'attività ospedaliera è «solo eventuale». Una cosa rimane incontrovertibile: il passaggio da uomo a donna o viceversa resta subordinato a rigorosi accertamenti.

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