sabato 11 agosto 2012
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​«Non posso che esprimere soddisfazione per la scelta del governo, con la quale si riconosce che quello di Caltagirone è un presidio giudiziario importante. È la conferma che queste realtà andavano salvate». Francesco Paolo Giordano è il capo della procura calatina. Un avamposto dello Stato affidatogli nel 2009, dopo gli anni in prima linea da procuratore aggiunto di Caltanissetta e alla Direzione nazionale antimafia.Qual è l’importanza, anche strategica, della vostra presenza?Molte delle indagini antimafia, se non quasi tutte, nascono dalle investigazioni avviate dagli uffici territoriali con il coordinamento della procura, che è un sensore posto, nel nostro caso, in un’area ad alta densità mafiosa. Talvolta investigando su delitti apparentemente di secondo piano si arriva agli uomini di Cosa nostra. Salvare uffici come il nostro vuol dire preservare la conoscenza, la memoria storica, la continuità nel contrasto.Quanto pesa la mafia in quel comprensorio?Il nostro è un territorio innervato su quattro province (Catania, Ragusa, Caltanissetta, Enna) e risente dei fenomeni criminali di queste aree, contigue a cosche mafiose sia di Cosa nostra che della Stidda (l’organizzazione mafiosa che spadroneggia a Gela, ndr). Dobbiamo fronteggiare clan storicamente forti e pervasivi, per esempio a Palagonia, Scordia, a Castel di Judica, per non dire di Ramacca. Da queste parti la mafia delle campagne è nata prima di quella delle città.E la "società civile" come reagisce?Il fatto che non ce andremo da qui è un segnale di incoraggiamento. A Scordia c’è una delle associazioni antiestorsioni più importanti del circondario. Anche a Caltagirone gli imprenditori hanno cominciato a reagire. Il messaggio che arriva loro è che lo Stato non li abbandona.
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