venerdì 1 febbraio 2013
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La famiglia italiana «va in pezzi ma non perde pezzi». Con questa frase sibillina Giuseppe De Rita, sociologo del Censis, ha sintetizzato i risultati della ricerca fresca di stampa condotta dal suo Istituto per conto di Procter & Gamble e presentata mercoledì per lanciare un progetto filantropico del marchio Dash. Per descrivere la famiglia, il Censis abbonda con gli ossimori: va in pezzi ma è solida, si frammenta ma e coesa, è allargata ma monogenitoriale.La famiglia tutti la vogliono – secondo i dati Censis è punto di riferimento per il 96% dei duemila intervistati – ma nessuno la fa: crescono le unioni libere che coinvolgono due milioni e mezzo di persone mentre i matrimoni (le unioni forzate?) diminuiscono del 7,8 per cento e finiscono con un divorzio in un caso su tre (il 37,3%). La famiglia piace, quindi perché non averne più di una? Le famiglie ricostituite – in cui uno o entrambi i membri della coppia hanno già avuto figli da una precedente relazione – sono più di un milione in Italia.I dati confermano quel che già l’Istat aveva evidenziato per il 2011, anno in cui mancavano all’appello 12.870 coppie di sposi: i matrimoni celebrati davanti all’altare o davanti a un funzionario erano stati 204.830. Continuano a crescere in maniera esponenziale il numero delle coppie di fatto, quasi raddoppiate dal 2007 a oggi, mentre sono in continuo aumento anche le convivenze pre-matrimoniali, che si rivelano una delle concause della marcata tendenza a posticipare del matrimonio. I giovani si sposano pochissimo, preferendo rimandare il momento di pronunciare il fatidico «sì»: gli uomini si decidono intorno ai 34 anni, le donne verso i 31.Ma dietro le contorsioni linguistiche, i recentissimi dati Censis confermano una difficoltà profonda che colpisce il matrimonio e la famiglia e, di conseguenza, una struttura antropologica fondamentale sulla quale poggiano dinamiche sociali fondanti. Innegabile che sia la famiglia – quella che non va in pezzi – a presiedere all’educazione delle giovani generazioni e a farsi carico della cura di quelle vecchie, ad assistere i soggetti fragili e malati. E sebbene il Censis focalizzi l’attenzione anche sulle figure genitoriali – il 22% degli italiani riconosce nel padre un maestro di vita. Nel 1998 erano il 14,7% – i genitori non sono tutti uguali. Alcuni sono pronti ad assumersi l’onere e l’onore di un “per sempre” che altri rifuggono.Le coppie che scelgono una prospettiva di reciproco affidamento, che si stringono in un vincolo indissolubile non sono identiche a quelle che danno prova di una esplicita volontà di non legarsi, di depotenziare l’investimento sul futuro scegliendo un’“unione libera”. Ma libera di che? «La madre di tutte le crisi è l’individualismo. E questo è figlio della cultura nichilista per cui tutto è moralmente equivalente, nulla vi sarebbe di oggettivo e di universale valido e obbligante» ha scritto il cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione di lunedì al Consiglio permanente della Cei. Ma si tratta di una «distorsione radicale del desiderio di libertà e di autorealizzazione, una sorta di fuga dal realismo fattuale e dalla ragione stessa. Di qui – proseguiva il cardinale – l’incapacità di legami veri, in cui l’altro sia non solo la proiezione o lo specchio di sé, ma il terminale di una relazione a misura intera dell’essere. Si annida qui un’idea bugiarda e infondata di un’autonomia personale che accetta di entrare in comunicazione con l’altro solo potendola – la comunicazione – interrompere in ogni momento».
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