mercoledì 25 novembre 2020
Paura e incertezza, legate a questo periodo segnato dal coronavirus, unite alla tradizionali difficoltà per le famiglie fanno prevedere un andamento negativo
Culle vuote in un reparto di Maternità

Culle vuote in un reparto di Maternità - Foto d'archivio / Siciliani

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Un ulteriore calo delle nascite, già da anni a livelli più che preoccupanti. Anche questa potrebbe essere la pesantissima eredità della pandemia. L’allarme sull’inasprimento dell’inverno demografico italiano è stato lanciato ieri dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in audizione sulla manovra finanziaria alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.

«L’attuale crisi sanitaria ed economica – ha detto Blangiardo – può influire negativamente, oltre che sul numero dei decessi, anche sulla stessa frequenza annua di nati. È, infatti, legittimo ipotizzare che il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale (legate a occupazione e reddito) generate dai recenti avvenimenti orienteranno negativamente le scelte di fecondità delle coppie italiane».

Il presidente dell’Istituto di statistica ha elencato i dati a sostegno di questa infausta previsione. «I 420mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale – ha ricordato Blangiardo – potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393mila nel 2021».

A provocare questa vera e propria gelata delle nascite sono le difficoltà economiche e sociali in cui si trovano le famiglie, che in media desiderano due figli ma troppo spesso sono frenate dai «fattori di contesto», ha evidenziato Blangiardo. Lanciando un accorato appello al Parlamento ed evidenziando «la pressante necessità di azioni che rimuovano i numerosi ostacoli che si frappongono alla realizzazione di obiettivi che, stante le dinamiche demografiche di cui si è detto, contribuirebbero a sostenere un necessario investimento in capitale umano».

Tra gli ostacoli da rimuovere, c’è l’accesso agli asili nido, frenato da due problematiche: il limitato numero di posti e i costi elevati del servizio. Se, da un lato, soltanto un bambino su quattro (25,5% dei potenziali utenti) trova effettivamente posto nei 13.335 servizi per la prima infanzia pubblici e privati, dall’altro l’entità delle rette scoraggia ed esclude tante famiglie.

«Il 18,5% delle famiglie che non utilizzano il nido – ha ricordato Blangiardo – sono condizionate da motivi indipendenti dalle loro scelte: il costo eccessivo del servizio, il rifiuto della domanda, la lontananza da casa delle strutture o gli orari troppo scomodi, sono motivazioni che evidenziano una domanda potenziale non soddisfatta dal sistema di offerta. La spesa che andrebbe a gravare sulla famiglia è la causa più frequente della rinuncia al nido: dall’8% del 2008 all’12,8% nel 2019».

E anche lo strumento individuato per venire incontro alle famiglie, il “bonus asili nido”, non ha raggiunto tutti i nuclei allo stesso modo. Come ha sottolineato Blangiardo nel corso dell’audizione, nel 2019 il bonus ha raggiunto in Valle d’Aosta, Umbria e Lazio più di 30 bambini su 100, in Calabria, Campania e Sicilia meno di 14 bambini su 100. Un divario legato soprattutto all’assenza al Sud di servizi per l’infanzia sufficienti a soddisfare le esigenze.

Le potenzialità del bonus asili nido, ha ricordato il presidente dell’Istat, «sono condizionate dallo sviluppo dell’offerta dei servizi sul territorio. In assenza di un ampliamento della dotazione dei posti disponibili nelle aree più svantaggiate del Paese, tali misure non si potranno tradurre in un impulso alla domanda di servizi e sarà difficile riscontrare un incremento della fruizione».

Nel 2019, la quota di bambini di 0-2 anni che hanno usufruito del bonus è stata infatti del 29,5% al Centro, 22,7% al Nord, 16,4% nelle Isole e i15,1% al Sud. Si differenzia notevolmente anche l’importo pro capite: dai 247 euro del Centro ai 106 euro del Sud (179 euro la media nazionale).

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