martedì 12 marzo 2013
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Il clima è di nuovo da campagna elettorale. Per scelte. Per toni. Per gesti. «C’è un’emergenza democratica, non subiamo in silenzio», ripetono i parlamentari del Pdl protagonisti della marcia sul tribunale di Milano. Una mossa dura. Una sfida alle toghe (e indirettamente al Pd) che complica ulteriormente un quadro già drammaticamente sfilacciato.A cento ore dal voto per le presidenze di Camera e Senato non c’è dialogo (il Pdl arriva addirittura a ipotizzare di non partecipare alle prime votazioni) e non si vede nessuna via d’uscita credibile. C’è un contagioso clima di scontro. La questione giustizia "incattivisce" il Pdl e il vertice di oggi al Colle (Napolitano vedrà Alfano e i capigruppo Gasparri e Cicchitto) non si annuncia facile. Il capo dello Stato non ha gradito il blitz al tribunale milanese e lo ripeterà con forza spiegando che questo è il momento della «responsabilità» e del «senso civico». Ma nonostante tutto non ha chiuso la porta del Quirinale. Anzi, ha deciso di ricevere lo stato maggiore berlusconiano perché sente di dover fare ogni sforzo possibile per riannodare le fila di quel dialogo "alto", che per molti sarebbe irrimediabilmente compromesso.L’impressione è però che troppi siano già con la testa al voto. Berlusconi lo dice sottovoce agli amici più fidati puntando l’indice accusatore contro le procure: «Dietro l’offensiva di queste ore c’è un solo obiettivo, i pm vogliono far saltare ogni tentativo di dialogo». E chiosa: «Io ho chiesto dialogo e lo voglio, ma se ci trascinano al voto sono pronto». L’Anm, il sindacato dei magistrati, replica seccamente: non abbiamo fini politici. E il M5S prova a sfruttare il momento e fa sapere che se arrivasse in Parlamento una richiesta d’arresto per Berlusconi, loro non avrebbero nessun dubbio a votare "sì". È solo un’ipotesi di scuola, ma spiega la voglia di molti di giocare allo sfascio e fotografa un guado per ora impossibile.
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