sabato 18 aprile 2020
In un'intervista al Sir il giurista alla guida dell'«ateneo del Papa» spiega che la vita accademica sta attingendo alla radice dell'esperienza universitaria particolarmente viva tra docenti e studenti
La Pontificia Università Lateranense a Roma

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«Mentre l’ateneo si svuotava non solo di persone ma quasi di funzione, ci è venuta in aiuto l’originale idea di Universitas studiorum: il sapere, lo studio, la ricerca senza confini, senza i legami con il solo spazio materiale». È il concetto attorno al quale Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense, sta organizzando la vita dell’«ateneo del Papa» in queste settimane di sosta forzata ma, in realtà, solo apparente: «Abbiamo dovuto procedere alla chiusura, inesorabile, dei corsi, delle lezioni, dell’attività accademica, accorgendoci però che il virus ci chiamava a qualcosa di nuovo e allo stesso tempo ci poneva delle grandi questioni – è la riflessione del rettore in una lunga intervista rilasciata al direttore dell’agenzia Sir Amerigo Vecchiarelli –. Anzitutto cosa fare nell’immediato? E poi, in prospettiva, cosa fare sul medio e lungo termine? Questi gli interrogativi risuonati e posti alla base dell’azione conseguente». La risposta che fa da perno in questo «tempo di incertezza» è «una Universitas studiorum non più residente, ma certamente resiliente rispetto ad un virus che ne minaccia l’esistenza». L’antica idea di «universitas» può aiutare dunque tutto il mondo accademico a trovare la strada perché questa esperienza non sia solo giocata sulla difensiva, in attesa di tempi migliori. È quella che Buonomo definisce «una comunità di docenti e studenti che si ritrovano, si interrogano, discutono sulla conoscenza e sul sapere, con una corsa frenetica consapevole dell’obiettivo da raggiungere».

Anzitutto l’Università Lateranense ha pensato a «dotare gli studenti di ulteriori strumenti per lo studio e l’apprendimento» visto che qui come ovunque «la didattica online è diventata lo strumento più agevole, soprattutto per dare continuità alle diverse offerte formative e ai legami della “classe” divenuta virtuale». Il risultato è che «gradualmente si è strutturato uno standard, inteso come numero di lezioni, nuova progettualità, innovata capacità del docente di esprimersi e dello studente di partecipare ed entrare in sintonia con una teoria, un’analisi delle fonti, un’interpretazione». Sporgendosi sul futuro, Vincenzo Buonomo declina il motto ormai universale "nulla sarà più come prima" per le diverse categorie che danno vita all’università: «Non lo sarà per i docenti che avranno fatto esperienza ed acquisito competenze nuove nell’approccio didattico e nell’attività di ricerca. Non lo sarà per gli studenti, che avranno colto il diverso modo di trasmissione del sapere. Ma soprattutto non si potranno abbandonare i risultati acquisiti e cioè la capacità di sentirsi Universitas studiorum anche attraverso uno schermo». Determinante per la qualità della comunità universitaria la determinazione di «continuare una missione, di svolgere una funzione educativa non creando una comunità virtuale ma utilizzando “funzionalmente” lo strumento telematico per proseguire nell’idea di Universitas studiorum». Sono le radici dell’università che mostrano la loro vitalità: «Come alle sue origini legò gli studenti ai docenti in nome del sapere», nota il giurista, il concetto di "Universitas studiorum" «oggi dona all’avvenire la possibilità di porre accanto al tradizionale (e certamente efficace) sistema della lezione in presenza la contemporanea trasmissione online e necessariamente quella a distanza, per colmare le differenze del fuso orario», fattore non marginale in un ateneo dove sono rappresentati 106 Paesi che in questo periodo tuttavia si sentono come abbracciati da un’università come la Lateranense «dilatata dalla sede fisica “in urbe” alla dimensione della cattolicità».

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