domenica 5 febbraio 2017
Cristopher Hein del Consiglio Italiano rifugiati: «Francamente è difficile trovare qualcosa di positivo nell’esito del vertice di Malta, anche se non tutto è da buttare»
Christopher Hein è anche consultore del Pontificio consiglio dei migranti

Christopher Hein è anche consultore del Pontificio consiglio dei migranti

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«Francamente è difficile trovare qualcosa di positivo nell’esito del vertice di Malta, anche se non tutto è da buttare». Quando negli ultimi due giorni duemila persone sono state salvate in mare Cristopher Hein, consigliere del Cir, il Consiglio Italiano rifugiati, e consultore del Pontificio consiglio dei migranti, prova comunque a trovare uno spiraglio positivo nelle politiche dell’Ue.

Cosa salva del 'Documento di Malta'?
L’unico spunto degno di considerazione è l’impegno a investire affinché la Libia, insieme ad altri Paesi del Nordafrica, divenga una terra nella quale i migranti possano trovare garanzie e diritti. Ma si tratta di intenzioni e staremo a vedere se avranno seguito e in quale modo, attualmente è tutto molto vago, ma comunque un impegno è stato preso. Si tratta di un processo lungo e incerto e siamo già molto in ritardo, ma è un bene che si cominci. Per il resto, non mi aspetto alcuno sviluppo positivo. Perché? La Libia, oltre ad essere un Paese in guerra e ancora lontano dal trovare una qualche stabilità, è l’unico Paese a- fricano a non avere mai ratificato la Convenzione internazionale sui rifugiati e i richiedenti asilo. Inoltre non c’è alcuna norma interna sui migranti di qualsiasi genere e meno che mai sui profughi e i richiedenti asilo. Perfino paesi come Sudan e Somalia hanno una loro legislazione ed hanno accettato i trattati internazionali. Naturalmente anche lì ci sono problemi, ma almeno ci sono delle norme di riferimento e a cui fare appello. In Libia no.

E cosa possono fare, ad esempio, i richiedenti asilo?
Nulla. Non c’è traccia di una qualsiasi procedura stabilità dalle autorità e dunque non ci sono garanzie per queste persone che vengono recluse in centri di identificazione che violano i più elementari diritti. Non è un caso che di recente l’ambasciatore tedesco in Niger abbia dichiarato che le condizioni di vita dei centri per migranti libici sono peggiori dei campi di concentramento nazisti.

Come valuta le modalità operative concordate con Tripoli?
L’Unione europea sostiene che i barconi intercettati in acque libiche verranno riportati sulla costa dalla Guardia costiera locale senza l’ausilio di altri Paesi. Tutto, dunque, si svolgerà su delega. L’Ue fornirà natanti, armi e l’addestramento. Ma la domanda è: una volta intercettati, cosa accadrà ai migranti? Verranno riportate in Libia e poi cosa gli accadrà? Chi esaminerà la loro posizione?

Nella dichiarazione di Malta e nell’accordo bilaterale Italia- Libia si fa cenno al coinvolgimento dell’’Alto commissariato Onu per i rifugiati e all’Oim, l’agenzia onu per i migranti. Non è una garanzia sufficiente?
È una indicazione molto vaga e non sono state stabilite le modalità della loro presenza. Oggi sia l’Oim e che l’Acnur per ragioni di sicurezza non dispongono di personale internazionale in Libia e i responsabili per la Libia sono costretti a lavorare dagli uffici di Tunisi.

E cosa invece andrebbe fatto?
L’obiettivo dichiarato di ridurre il numero delle vittime nel mare, e contrastare il traffico di esseri umani è sacrosanto, ma il modo con cui si vuole arrivare a questo è del tutto fuorviante. Quello che serve sono i corridoi umanitari e i canali di accesso legale. E poi, a medio e lungo termime, investiore nella Libia per creare condizioni che permettano ai migranti di scegliere se restare liberamente in Libia, dove si spera possa esserci necessità di manodopera per la necessaria ricostruzione del Paese.

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