venerdì 1 febbraio 2019
Il direttore uscente delle news di Tv2000 si racconta: i valori cristiani bucano il video da soli. «Il ricordo più bello? Papa Francesco al telefono sul Bataclan»
Lucio Brunelli

Lucio Brunelli

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Lucio Brunelli, 67 anni, laureato in Scienze Politiche, inizia la sua attività giornalistica a "30Giorni" nel 1983. Dal 1995 al 2014 è vaticanista del Tg2. Dal 5 maggio 2014 è direttore delle News di Tv2000 e InBlu Radio.

«Quota 100 non c’entra niente. Vado in pensione con la vecchia Fornero». Scherza Lucio Brunelli, direttore dell’Informazione di Tv2000, ieri al suo ultimo giorno di lavoro (oggi ci sarà il passaggio di consegne con il successore Vincenzo Morgante). Sorrisi e battute per nascondere l’emozione che c’è ed è pure tanta, come lo stesso Brunelli ha scritto in una lettera inviata ai colleghi, intitolata Con il cuore gonfio. «L’Editore mi aveva anche invitato a rimanere, ma sinceramente non sento più di avere le energie per continuare a fare bene un lavoro che è molto coinvolgente».

Hai fatto per tanti anni il vaticanista, ti sei ispirato a Benedetto XVI?

Ma per carità (ride), non oserei nemmeno pensarlo un paragone del genere. Ma mi sembra che sia segno di onestà ammettere che le forze non sono più sufficienti.

A proposito di Papi, nella tua vita professionale ne hai incrociati tre: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Come li definiresti usando la sintesi televisiva?

Pensando a loro, penso a quanto è bella la Chiesa. Tre personalità molto diverse che però ci hanno richiamato all’unica cosa che conta: il cristianesimo è Cristo, prima di essere un insieme di dottrine e di precetti. Lo hanno fatto con l’irruenza quasi 'guerriera' all’inizio di Giovanni Paolo II, con la mite profondità di Benedetto XVI e ora con la semplicità evangelica di Papa Francesco, del quale ammiro la grande energia a 81 anni. Un giorno gliel’ho anche chiesto. 'Come fa?' 'Io prego, mi ha risposto, il resto è grazia di Dio'.

Come è stata la tua ultima giornata di lavoro?

Ho fatto le stesse cose degli altri giorni, con il cuore gonfio, come ho scritto, ma controllando le scalette dei Tg e dei Gr, cercando storie da raccontare, facendo le riunioni di redazione. L’unica cosa straordinaria è stata un giro di tutti i reparti della Tv e della Radio, per i saluti. Qui ho trovato una professionalità che non immaginavo, con delle punte di eccellenza, ma soprattutto un clima di famiglia.

In breve, quale pensi sia stato il tratto caratteristico dei tuoi 5 anni di direzione?

Ho cercato di dare più spazio all’informazione all’interno del palinsesto di Tv2000, quindi ho aumentato le edizioni del Tg e non solo per un fatto di quantità. Ci ho messo un coinvolgimento affettivo particolare, oltre che professionale. E poi ho cercato di portare la mia esperienza, la raccomandazione per la cura nella confezione dei servizi. E ho avuto la soddisfazione di veder crescere molto la redazione.

È stato difficile essere il direttore di una testata Cei?

Nel rapporto con l’Editore ho goduto di una grande libertà. Qualcuno magari immagina chissà quali controlli o censure. Io in cinque anni non ho mai dovuto sottoporre un testo a chicchessia. Così come sono stato felice delle sinergie e delle sintonie spontanee sui grandi temi con le altre testate Cei e dei rapporti di amicizia con gli altri direttori. Mai ho avvertito un clima di competizione e di rivalità.

Quali gli episodi che ricordi con più piacere e quelli che invece ti hanno lasciato un po’ d’amaro in bocca?

Tra i primi sicuramente l’intervista con il Papa la sera dell’attentato al Bataclan. Avevamo programmato uno speciale per il giorno dopo, ma volevamo una voce di Chiesa importante. Così mi venne l’idea e mentre ero in macchina sul Raccordo chiamai il segretario del Papa: 'Guardi, gli dissi, è una pazzia, ma se il Santo Padre se la sentisse di dire una parola'. E lui mi rispose: 'Il Papa è qui accanto a me e mi sta facendo cenno di sì'. E io mi ritrovai sul Raccordo a parlare con Francesco, pregandolo di darmi qualche minuto per raggiungere la redazione e registrare la telefonata. Ricordo l’emozione di quei momenti e la preoccupazione che non ci fossero intoppi tecnici, ma tutto andò per il verso giusto. Anche i momenti negativi ci sono stati, come è ovvio, ma prevalgono di gran lunga quelli positivi.

Nella lettera scrivi: «L’informazione è anche una forma di testimonianza». In che senso?

Nel senso che da come racconti le cose, si capisce quello che sei. Se sei cinico, il tuo giornalismo rifletterà questo cinismo. Se invece hai fatto l’esperienza dell’incontro con Cristo, sarà tutta un’altra cosa. E questo arriva alla gente, anche senza bisogno di sbandierare e di esibire la fede.

Che cosa auguri al tuo successore?

Vincenzo Morgante ha già fatto il direttore, a differenza di me, che quando sono arrivato, avevo fatto solo il vaticanista. Avrà un compito gravoso, perché dovrà occuparsi sia dei programmi, sia dell’informazione. Ma sono sicuro che farà molto bene, perché all’indubbia professionalità unisce una grande fede. Gli auguro di ampliare la voce della nostra informazione che ha una sua fisionomia e una sua riconoscibilità nel panorama dell’informazione, raggiungendo sempre più persone.

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