sabato 13 agosto 2022
Il caso di Beauty, picchiata perché chiedeva la paga, in Calabria sta diventando la normalità
Botte e minacce, i braccianti calpestati

Ansa

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Braccianti picchiati perché rivendicavano un giusto salario. Altri gravemente infortunati e poi cacciati. Altri ancora trattati da schiavi. E perfino chi, scoperto lo sfruttamento, viene espulso. Sono tanti i casi affrontati dalla Caritas di Crotone, in particolare nell’ultimo anno da quando anche qui è partito il Progetto Presidio che si occupa in particolare della tutela dei diritti dei lavoratori immigrati. Lo sportello immigrati, aperto da 5 anni dal lunedì al venerdì, ascolta ogni giorno 15-20 persone, gli operatori di Presidio hanno assistito lo scorso anno circa 400 immigrati, quest’anno siamo a circa 150. Si fa assistenza legale e per i contratti. C’è moltissimo lavoro nero, ma anche grigio. I braccianti prendono 35-40 euro al giorno, ma poi ne devono dare 10 ai caporali. «Preferiscono il lavoro nei campi che nei ristoranti dove vengono sfruttati di più. A un lavapiatti fanno un contratto da 700 euro al mese ma poi gliene danno solo 500. Dovrebbe lavorare 4 ore e invece ne fa almeno il doppio» spiegano gli avvocati Vanessa Calabrò e Fortunato Sgrò, che incontriamo assieme al direttore della Caritas, don Rino Lepera. Sembra la vicenda di Beauty, la giovane nigeriana malmenata a Soverato, non lontano da Crotone, per aver chiesto il suo salario corretto proprio per il lavoro in un ristorante.

La Caritas ha attivato 20 borse lavoro di tre mesi. «Cinquecento euro li mettiamo noi, il ristorante 200 più l’assicurazione. Ma hanno risposto solo 5 lavoratori». Non l’unico intervento con le imprese. «Un’azienda agricola faceva vivere un bracciante nella stalla e lo pagava meno del dovuto. Siamo intervenuti noi e il parroco. 'Lo sta trattando peggio degli animali'. Alla fine si è messo in regola». Ma altri non gradiscono gli interventi degli operatori. Così qualcuno ha danneggiato il pullmino della Caritas e altri hanno coperto di rifiuti l’auto di una suora. E non finiscono le storie drammatiche. Un bracciante che rivendicava i suoi diritti è stato duramente picchiato perdendo un occhio. Una ragazza lavorando ha perso l’uso di una mano e l’imprenditore l’ha mandata via. «Quando hanno un infortunio vengono scaricati, letteralmente buttati fuori». Per questo alcune volte i braccianti negano. «Proprio ieri si è presentato da noi un ragazzo con le dita di una mano tranciate. Ha detto che era stato lo sportello di un’auto. Non era vero. Invece era l’effetto di lavoro nero. Era andato in ospedale, aveva firmato per le dimissioni ma poi era peggiorato ed era venuto da noi».

Non è solo agricoltura. Un senegalese si è presentato in Caritas per raccontare lo sfruttamento in un’azienda di smaltimento dell’amianto. «Senza alcuna protezione e sopra i tetti. Immigrati e italiani. Veniva pagato 6-700 euro al mese, ma poi doveva segnare 10 giorni di assenza anche se era sempre lì, viveva nell’azienda e addirittura veniva obbligato a pagare la bolletta della luce di tutta la struttura». L’intervento degli avvocati della Caritas produce risultati. «Un lavoratore era trattato come uno schiavo, ora recupererà il dovuto, è partita un’inchiesta penale e lui lavora regolarmente». Ma altre volte l’ingiustizia arriva proprio dalle istituzioni. Come quando un’ispezione in un’azienda condotta congiuntamente dall’Ispettorato del lavoro e dall’Oim scopre lavoratori senza contratto e senza protezioni: «Due di loro invece di avere la tutela come vittime di sfruttamento hanno avuto il decreto di espulsione». Ancora una volta l’effetto dei cosiddetti decreti sicurezza.

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