giovedì 9 settembre 2010
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Umberto Bossi insiste: «La via d’uscita per me è il voto». E non si tratta, questa volta, di un’opinione, sia pure autorevolissima. Perché, almeno a parole, il senatur promette di fare sul serio. Gettando lo scompiglio nelle file alleate, ma anche nei campi avversari. Molto meno al Quirinale, dove Napolitano fa sapere che, per il momento, si tratta solo di dichiarazioni, che non lo fanno sentire ancora tirato in ballo: « È un problema puramente politico – ha detto il capo dello Stato – su cui non mi pronuncio. È un annuncio, una scelta, non so come definirlo, di cui posso solo prendere atto». Ribadendo che nessuno finora gli ha chiesto un incontro al Quirinale.Il discorso bossiano (se così si può chiamare, visto che lo stile dell’uomo prevede poche e fulminanti battute) parte da lontano: ovvero dal no, deciso e chiaro, a forme di governi istituzionali, di garanzia, del presidente, di unità nazionale, tecnici o che dir si voglia: «Non ci credo, abbiamo già in giro dei cornuti – risponde il leader leghista – le elezioni le abbiamo vinte noi». E, nel caso di un governo frutto di ribaltone, arriva anche la minaccia di una sorta di marcia su Roma: «Le forze politiche hanno una massa d’urto. Pensate se io e Berlusconi portassimo 10 milioni di persone a Roma...». E allora? «Allora il voto». Con un corollario non di poco conto: tra gli scenari possibili ci sono «le dimissioni di Berlusconi» e persino la novità di una forma di sfiducia da parte della Lega: «Potremmo non votare i cinque punti», fa capire. Poi sembra ridimensionare: «Decide Berlusconi». Non mancano un pernacchio all’indirizzo del presidente della Camera, (Bossi ora prende tempo sull’incontro richiesto al Quirinale) e la considerazione che gli elettori leghisti seguirebbero la scelta delle urne senza problemi: «I nostri elettori, a differenza di quello che dice Fini, sono padani e quindi vogliono la Padania libera, del resto non si preoccupano». Al di là delle parole in libertà sui dieci milioni (sic) di manifestanti c’è da chiedersi quale sia la strategia della Lega e fino a che punto essa possa arrivare a una vera e propria divaricazione con Berlusconi, il quale ha ribadito ieri sera e dopo le dichiarazioni di Bossi il suo no alle elezioni. Finora la Lega aveva fatto capire di "sopportare" l’alleanza con il Pdl in funzione dell’approvazione del federalismo fiscale, che dovrebbe essere in dirittura di arrivo. Le elezioni, dall’esito incerto, potrebbero azzerare tutto il lavoro fatto finora. Ma una chiave di lettura l’hanno fornita nei giorni scorsi gli uomini vicini a Bossi: se diamo la possibilità a Fini di mettere becco sul federalismo, questo verrà notevolmente annacquato. E, allora, tanto vale rischiare, sicuri che al Nord si prenderanno vagonate di voti. Spiega Roberto Cota, governatore piemontese: «Il voto non mette a rischio il federalismo: è la palude che mette a rischio il processo di cambiamento del Paese». Nei conciliaboli si mette persino sul piatto l’ipotesi che, in caso di elezioni anticipate, la Lega potrebbe presentarsi da sola, senza alleati. Ma per qualcuno, come la finiana Germontani si tratta solo di un «gioco delle parti».
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