giovedì 6 gennaio 2011
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Umberto Bossi incalza sul federalismo. Ma allo stesso tempo apre al dialogo con chi ci sta. «Siamo abbastanza a­perti con tutti quelli che non fanno muro con­tro le riforme», risponde in serata - prima di partire da Calalzo di Cadore alla volta di Ro­ma - a chi gli chiede la posizione rispetto alla mano tesa nelle scorse settimane dal segreta­rio del Pd Pier Luigi Bersani. Riguardo alla po­sizione di Pier Ferdinando Casini, il leader del Carroccio ha ricordato che «il quoziente fa- miliare chiesto dall’Udc è già compreso nel federalismo». In mattinata, rinvigorito dalla 'cena degli os­si' con i ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, il senatùr aveva esordito baldanzo­so, dettando tempi accelerati per le scadenze necessarie in vista di una rapida approvazio­ne. Velando la minaccia del voto. Tanto da far insorgere le opposizioni che, con il vicepresi­dente del Senato Vannino Chiti, hanno parla­to di diktat al Parlamento.Cruciale è la setti­mana tra il 17 e il 23 gennaio. «Se si vuole an­dare al voto bisogna fare le cose in quel pe­riodo, perché c’è il problema che il federalismo deve passare. Se l’ultimo decreto attuativo non passa nella Commissione Bicamerale, non possiamo portare il federalismo al Consiglio dei ministri. Ma sono convinto che passa», a­veva detto Bossi. Anche se a sera aveva corretto il tiro ammettendo che in bicamerale e nella Commissione Bilancio c’è parità, tanto che nella secon­da «bisognerebbe che votas­se il presidente Giorgetti (Le­ga, ndr )». Di qui il Bossi dialogante. Che, però, su eventuali aper­ture con Fli e soprattutto con l’Udc, non si sbilancia, senza chiudere la porta: «Vedremo, bisogna andargli a parlare».Così come, incassato il fede­ralismo (altrimenti alle urne) bisognerà «trattare con Ber­lusconi». A Roma, però; un incontro in questi giorni ad Arcore non è previsto. L’acce­lerazione non piace al coor­dinatore finiano Adolfo Urso ribatte Fli non si farà influen­zare dalle «minacce» bossia­ne. E che sul federalismo fi­scale deciderà esclusivamen­te in base al merito del que­stioni e «delle modifiche che dovranno necessariamente essere apportate». Anche il responsabile Enti locali del Pd, Davide Zoggia avverte: «Basta proclami. Quello che non han­no fatto in due anni e mezzo non riusciranno a farlo in due giorni. Ed è chiaro che se non si terrà conto, soprattutto per quanto riguarda il federalismo municipale, delle proposte del Pd non si va da nessuna parte». Sui numeri, il senatore Andrea Augello, pidellino di prove­nienza An, invita a distinguere tra federalismo e allargamento della maggioranza. Sul primo «bisogna costruire il più ampio consenso pos­sibile, perché si tratta di una riforma troppo importante per il Paese». E si dice convinto che sia possibile trovare i nu­meri per approvarlo a gen­naio «anche a prescindere dall’operazione di amplia­mento della maggioranza».Ma quella della devolution è la partita su cui Bossi ha gio­cato tutta la sua carriera po­litica e certo non vuole farse­la sfuggire di mano. Tanto da aver moderato i toni negli ul­timi giorni sul ricorso alle ur­ne. Ancora ieri ha garantito che non farà scherzi in occa­sione della mozione di sfidu­cia al ministro della Cultura Sandro Bondi. Non senza a­ver ammonito che l’unico ri­schio per il governo è «che la Lega punti i piedi. Ma i piedi non li puntiamo, perché con Berlusconi siamo amici». La mozione, poi è «vergognosa» e «non ha molto senso: crol­la Pompei e diventa colpa di Bondi, ma se non ha i soldi?». Infine, una stoccata sul 150° dell’Unità d’Italia. Il Paese è diviso in due, sen­tenzia il senatùr, dunque «chi sente che è u­na ricorrenza positiva la festeggia, gli altri non la festeggiano». In particolare i veneti che «hanno fatto il plebiscito cinque anni dopo, nel 1866, è proprio una storia a sé».
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