giovedì 15 aprile 2010
Nel giorno in cui accetta di cedere l'Agricoltura il leader della Lega rilancia a 360 gradi gli obiettivi del Carroccio. Dalle banche del Nord a Palazzo Chigi.
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La Lega straripa. Cabina di regia sulle riforme, sindaco di Milano nel 2011 e ora anche Palazzo Chigi, nel 2013. E soprattutto, banche del Nord. È un fiume in piena - giusto un Po - Umberto Bossi. Che sceglie, non a caso, l’insolita location di Montecitorio per lanciare i suoi segnali. Segnali evidentemente destinati al Palazzo, più che al suo popolo: «È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice "prendete le banche" e noi lo faremo», avverte con il suo solito periodare che non conosce perifrasi. Lo fa, paradossalmente, nell’unico giorno in cui - a memoria - accetta di rinunciare a una posizione che era saldamente sua, come il ministero dell’Agricoltura. Rivelatosi una gallina dalle uova d’oro, in termini di consensi, nel settore agricolo. Un mondo che il senatur non ha alcuna voglia di abbandonare, e un dicastero che ora anche Giancarlo Galan guarda con più interesse rispetto a qualche mese fa, e infatti ha scelto di accettare.«Un primo ministro leghista nel 2013? Vedremo, tutto è possibile. Abbiamo dimostrato che tutto è possibile», è l’altro affondo di Bossi. Solo un segnale. Per ora, almeno: «La Lega ha già tante poltrone e non ce ne interessa una in più», frena. Se ne parlerà a tempo debito, insomma. Nel frattempo ci sono le riforme da fare subito. Segnali, più diretti, allora, il senatur li lancia su questo, di fatto rivendicando, nuovamente, la cabina di regia. «La legge elettorale non si tocca», replica indirettamente a Gianfranco Fini, sposando in pieno la linea di Berlusconi. «Perché bisogna cambiare la legge elettorale? Va così bene questa! La gente ha dimostrato di non voler tornare a votare dopo due settimane», tuona Bossi. E rilancia: «Si tratta di togliere il doppio turno anche alle comunali». Il capo della Lega e il presidente della Camera parlano due lingue diverse. Uno degli argomenti usati da Fini, infatti, è sull’introduzione del Senato federale, che sembra richiedere un sistema meno "centralista" dell’attuale. Ma proprio sul Senato federale Bossi ne ha anche per il presidente del Senato Renato Schifani: «Non ha detto che non vuole il Senato federale. Ha detto che il Senato non deve diventare una Camera di seconda serie e non lo diventerà». E quanto all’obiettivo di realizzarle in maniera condivisa, che lo stesso Schifani rilancia (dopo che anche Fini aveva preso in considerazione, invece, l’ipotesi di farle a maggioranza) Bossi conferma la road map già indicata da Berlusconi: «Si parte dal Consiglio dei ministri, che approva una legge, poi si vedono le modifiche che porta la sinistra». Ma resta il nodo vero, sullo sfondo: se l’opposizione, a quel punto, presenterà un contro-progetto, fino a che punto Bossi sarà disposto a spingersi nella trattativa con la minoranza parlamentare, pur di evitare il referendum?E c’è una doccia gelata anche per Berlusconi. Dal Pdl avevano ipotizzato una federazione, con la Lega. «No, la Lega sta da sola», avverte Bossi.
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